Paolino Paperino compie novant’anni e in questi tempi difficili sono contento di fargli i miei personali auguri. Nel gioco del “se fossi”, quando da bambino mi chiedevano “se fossi un personaggio dei fumetti” chi vorresti essere, rispondevo senza tentennamenti: Paperino.
Da piccolo ero abbonato a Topolino e aspettavo la consegna settimanale del postino, sperando sempre di potermi gustare un’avventura sua e dei suoi familiari. Crescendo gli abbonamenti sono stati fatti per i miei figli e sbirciavo sempre lui, i suoi parenti e i suoi alias, tipo Paperinik.
In verità ancora oggi mi riconosco nella sua curiosità un po’ goffa e un certo candore che fa a pugni con chi fa politica e anche con qualche scoppio collerico quando non se ne può più…
Il Professor Davide Del Gusto sul sito insulaeuropea ricorda che, come ammiratore del celebre papero, mi trovo in buona compagnia: “«Colleghi e amici, quando per caso vengono a sapere che io leggo volentieri le storie di Paperino, ridono di me, quasi fossi rimbambito. Ridano pure. Personalmente sono convinto che si tratta di una delle più grandi invenzioni narrative dei tempi moderni»: così parlò Dino Buzzati. Nella prefazione all’Oscar Mondadori Vita e dollari di Paperon de’ Paperoni, volume del 1968 che ebbe una capitale importanza nello sdoganamento del fumetto in un’Italia ancora ciecamente avvinta alla rassicurante distinzione tra cultura “alta” e “bassa”, lo scrittore veneto confessò tutto il suo spassionato amore per i paperi disneyani”.
Più avanti lo stesso autore evoca la nascita del personaggio, che emerge da una serie di corti realizzati quel genio che fu Walt Disney (sognatore, filantropo ma anche tirannico), che fu di fatto il suo papà: “In uno di questi episodi, The Wise Little Hen, fa il suo debutto ufficiale Donald Fauntleroy Duck, il nostro Paperino. È il 9 giugno 1934, una di quelle date che possiamo retoricamente considerare “storiche”, per quanto il marinaretto si faccia notare unicamente come un personaggio fannullone e scanzonato dalla voce, quella di Clarence “Ducky” Nash, inconfondibilmente incomprensibile. Eppure, pochi mesi dopo, lo ritroviamo nello spettacolo messo su da Topolino e i suoi amici nel corto Orphan’s Benefit. Da lì in poi questo papero bisbetico, intrattabile, collerico, starnazzante si sarebbe imposto come uno dei principali protagonisti del cosmo disneyano e, per estensione, della cultura popolare globale”.
E ancora lo stesso Del Gusto: “Francesco Artibani, uno dei più importanti sceneggiatori italiani contemporanei, ha usato a tal proposito una formula per certi versi azzeccata: “un papero, un universo”. Donald Duck può essere tutto e il suo contrario, senza tuttavia alcuna contraddizione. La sua versatilità è tale da poter narrare pressoché qualsiasi cosa rientri nei canoni narrativi ed estetici disneyani. Può essere al contempo un’icona pop più accattivante dello stesso Topolino, un personaggio dei fumetti declinato in mille maniere diverse in Italia, nel Nord Europa, in Brasile, un attore cinematografico che può vantare una stella sulla hollywoodiana Walk of Fame, una vittima a sua volta del merchandising, un papero buffo e starnazzante. Ma soprattutto Paperino è l’emblema di un’umanità radicale e profonda, il vero motivo di un successo pluridecennale: «Come si spiega che ottiene sempre la nostra indulgenza? Il motivo, secondo me, è molto semplice. […] specchiandoci in lui, nel segreto del nostro animo ci riconosciamo, ma nello stesso tempo ci sentiamo migliori». Parola di Dino Buzzati”.
Ma il dualismo con Topolino è ben spiegato sul sito storiedipaperi: “Topolino è il personaggio che nasce dal periodo del bisogno, delle difficoltà economiche (sia di zio Walt che degli USA). Mickey Mouse è un self-made man, l’uomo che si fa da solo, vero prototipo dell’ideale ottimistico americano: grazie ad abnegazione, onestà, duro lavoro e intraprendenza si può ottenere tutto. Il self-made man solitamente parte dal basso, dalla povertà, e raggiunge il successo anche grazie alla propria generosità e voglia di migliorare il contesto in cui vive. Ma una visione così positiva del capitalismo (diciamolo, tutta statunitense) non sarebbe sopravvissuta alla Seconda guerra mondiale. Nel Dopoguerra, infatti, il Topo inizia a perdere consensi a favore di una maggiore popolarità della sua spalla storica, Paperino. Il personaggio, nevrotico e antipatico, viene definito dallo stesso Umberto Eco il figlio del Dopoguerra: una società che aveva visto l’abisso dell’animo umano, evidentemente, non riusciva più a identificarsi con l’eroe del duro lavoro, con chi crede che la bontà venga sempre premiata. Questo potersi identificare con la società, rappresentarla in un certo senso, testimonia l’efficacia dei personaggi creati da Walt Disney. E ne spiega anche lo spropositato successo”
Ricordo, infine, che lo stesso Umberto Eco, che scrisse appunto di Paperino, vide comparire sul giornalino nel 1988 «Topolino e il nome della mimosa», un’avventura ispirata al primo best seller del celebre Professore e lui ne fu felicissimo.
Viva Paperino: ad multos annos!