La pandemia si è allontana dalle nostre vite e resta nella memoria come una specie di rumore di fondo, che comunque ci ammonisce sui possibili rischi futuri e sarà bene dimostrare, nel caso sciagurato in cui avvenisse, di essere più pronti di quanto lo siamo stati a suo tempo.
Capita, specie in compagnia con amici, di ricordare quei momenti pur recenti con aneddoti di vicende vissute e vien anche da chiedersi che cosa sia rimasto, a parte i gruppi che continuano con i loro tam tam contro i vaccini, cui hanno aggiunto nuovi elementi di protesta che li alimentano.
La clausura in casa e i molti limiti posti per contrastare la diffusione della malattia sono stati complessi, frutto di decisioni repentine mal comunicate e con regole che non tenevano conto delle singole realtà con strumenti al limite del dettato costituzionale, in particolare con un Parlamento ridotto a comprimario in confronto ai protagonismi governativi. Nel caso valdostano la Corte Costituzionale bocciò una legge per regolamentare meglio alcuni aspetti, bocciata con logica centralista dalla Corte Costituzionale.
Ci sono due aspetti che mi colpiscono come strascico a questo evento il cui ricordo è ancora vivo. Il primo mi mi erano stato raccontato l’estate scorsa durante un tour negli Stati Uniti. Era l’abitudine presa di uscire meno la sera in una logica di cambio di abitudini con una tendenza a valorizzare una dimensione domestica. Mi sembra che questo sia in parte rimasto anche da noi e lo si vede nelle manifestazioni serali - peggio che andar di notte per quelle politiche - che mi paiono in crisi, come se persistessero tracce di una socialità messa in crisi.
La seconda, che spero sia davvero una mia cattiva impressione, è la speranza caducata che il ritorno alla normalità coincidesse con un certo ottimismo, quanto ritenevo normale dopo un’emergenza difficile e minacciosa. Invece, pur ritenendo legittime certe difficoltà specie per l’isolamento dai coetanei patito dai giovanissimi, trovo che sia rimasto un atteggiamento pessimistico che danneggia e si diffonde anch’esso come un virus.
Intendiamoci bene: il quadro geopolitico internazionale e l’allarme per i cambiamenti climatici - solo per citare due evidenze - non inducono a chissà quale entusiasmo, tuttavia crogiolarsi in pensieri cupi serve a poco e, da vecchio giornalista, registro un giornalismo che indugia in modo ancora più accentuato - e per nulla consolatorio delle proprie magagne personali - sul male, sul cupo, sul drammatico. Da sempre la “buona notizia” non fa notizia e bisogna rassegnarsi a questo, ma la carica ansiogena e di continua drammatizzazione non porta ad una sorta di mitridatismo (lenta assuefazione ai veleni) ma ad una di saturnismo (avvelenamento da piombo nel tempo).
Sintetizzava il sociologo Francesco Alberoni: “Il pessimista ha uno straordinario potere di contagio. Talvolta basta incontrarlo al mattino, per strada e, in poco tempo, vi trasmette tutta la sua negatività e passività”.
Sia chiaro che intendo l’ottimismo non come una sorta di stato catatonico di chi nasconde la testa sotto la sabbia come uno struzzo (che per altro non lo fa davvero!). Lo dice in modo efficace il politologo Giovanni Sartori: “Il pessimismo è pericoloso solo se induce alla resa; ma altrimenti il male lo fa l’ottimismo e il tranquillismo che inducono a non far niente”. Chissà se si può parlare per evitare questo rischio di un ottimismo fattivo (evito l’abusata espressione gramsciana ”Pessimismo dell'intelligenza, ottimismo della volontà”) e che cerca di fare il possibile, combattendo con quei fantasmi che appaiono talvolta nella testa di tutti noi e che dobbiamo affrontare nella quotidianità.
Non è facile, come raccontava lo psicologo Daniel Kahneman: “Basterebbe la presenza di un unico scarafaggio a rovinare del tutto il carattere invitante di una ciotola di ciliegie, mentre una ciliegia non farebbe niente a una ciotola di scarafaggi. Il negativo vince sul positivo sotto molti profili e l’avversione alla perdita è una delle tante manifestazioni di una vasta dominanza della negatività”.
Brutta questa “dominanza della negatività”: ecco, questo mi sembra più che mai il nemico da combattere.