Cosa si faceva prima che spuntasse lui, il telefonino, che ci collega da solo con il mondo e che teniamo in mano come se fosse versione digitale del vecchio coltellino svizzero? Forse ha ragione chi dice che una volta non avevamo i minuti illimitati, ma avevamo più tempo…
Ci cominci la giornata, ti accompagna di giorno e la notte lo saluti e se ti svegli la notte lo sbirci. Ci lamentiamo della schiavitù, ammoniamo sul punto i figli, annunciamo la scelta di staccarci dalla sua malia e poi ci rendiamo conto, subendoli, di lacci e lacciuoli del mondo digitale in cui siamo sprofondati e singoli luddismi sono patetici.
Allora cerchiamo di prenderne il buono con giudizio e senza moralismi , ma assumendo un ammonimento di Zygmunt Bauman: ”L’introspezione è un’attività che sta scomparendo. Sempre più persone, quando si trovano a fronteggiare momenti di solitudine nella propria auto, per strada o alla cassa del supermercato, invece di raccogliere i pensieri, controllano se ci sono messaggi sul cellulare per avere qualche brandello di evidenza che dimostri loro che qualcuno da qualche parte, forse li vuole o ha bisogno di loro”.
Ogni tornante, frutto dell’ inventiva umana, ha i pro e i contro e se ne può fare usi buoni o cattivi. Basti pensare che molte tecnologie con cui familiarizziamo ogni giorno sono frutto di logiche militari convertite al civile.
Pensavo, fra le innovazioni, a quel moto perpetuo che è la posta elettronica, che vive e lotta insieme a noi, malgrado altre messaggistiche ne annuncino spesso il tramonto. Quanto potrebbe essere possibile, perché a leggere gli esperti lo stesso telefonino sembra destinato al declino e ridotto ad un oggettino, tipo protesi, che indosseremo senza doverlo manovrare manualmente e risponderà a esclusivi comandi vocali senza quella manualità ossessiva e compulsiva.
Ma torniamo alle mail (in francese il grazioso courriel) e ad una storia che si fa profonda. Lo ricorda Federico Cella sul Corriere, che ricorda: “La velocità del digitale è talmente fuori scala che capita spesso di ritrovarsi disorientati sul recente passato. Chi avrebbe detto che Gmail compie 20 anni? L’1 aprile segna questo anniversario. Era il 2004, e la data contribuì a convincere molti che il nuovo prodotto di Google fosse un Pesce d’Aprile. Gmail proponeva 1 giga di memoria (all’epoca avere 15 mega era già un lusso), la ricerca tra i messaggi ricevuti e mandati (una novità), il tutto gratis (con pubblicità). Non poteva che essere uno scherzo. Poi arrivarono anche in Italia i primi inviti a provare la novità: i prescelti avevano a disposizione altri 6 inviti da far girare tra gli amici. Scattò la febbre, avere Gmail era uno status symbol”.
Ricordo perfettamente quella corsa e lo stupore di un ennesimo mondo che si apriva in quegli anni così rivoluzionari su nostri usi e costumi.
Ancora l’articolo sulla posta elettronica che oggi ci invade le vite: “Oggi è invece la norma: gli utenti sono 1,8 miliardi e ogni giorno inviano una media di 121 miliardi di messaggi. Il 30% del traffico totale. Gmail portò un cambio di paradigma nell’invenzione datata 1971, e così nelle nostre abitudini. Uno spazio di memoria immenso associato alla ricerca cambiò il modo di utilizzare la posta elettronica: non più solo messaggi veloci (per quelli adesso ci sono le chat), da cancellare per fare spazio, ma un diario personale che si stratifica negli anni. Ricevute di acquisti, messaggi d’amore dall’esito documentato, foto e video scambiati con i parenti: è tutto lì, pronto per essere ritrovato al momento opportuno. I social li cancelliamo, a volte li tradiamo per altri. La nostra casella Gmail no: è un pezzo di vita. E tra 20 anni, verosimilmente, saremo ancora qui a parlarne”.
Mentre scrivo sul piccolo schermo luminoso del mio IPhone in alto occhieggia l’arrivo di qualche mail. Chissà se utile o inutile…
Quel che è certo è che si vuol capire quanto veniamo spiati sul Web: basta vedere negli spam e nel ciarpame che dimostra con promozioni e pubblicità varie quanto la profilazione giovi a giganti come Google.