Ha dominato la scena politica valdostana per decenni. Sono stato a tratti amico e avversario e lui è stato per me la stessa cosa. Ho visto in questo attuale percorso la sua vivida intelligenza appannarsi e perdersi in un candore che non era il suo. Evidente ingiustizia del destino, che può fare di noi quel che mai noi avremmo pensato. Augusto Rollandin, Guste per tutti, non dev’essere in questa occasione del ritiro a vita privata vittima di un prematuro epitaffio. La scelta sua e della sua famiglia, che gli è stata accanto nel passaggio, di lasciare il Consiglio Valle appare, tuttavia, davvero l’ultimo atto responsabile di una carriera invidiabile. È stato per me, sin da quando ero ragazzino, una figura familiare di amico dei miei genitori. E mio papà, veterinario di montagna della vallata di Augusto, lo aveva preso in simpatia sin da bambino. Augusto aveva scelto - a me così diceva - di fare veterinaria, perché aveva ammirato il lavoro di Sandrino, uomo arguto e personalità profonda. Non so se fosse vero, ma sicuramente mio papà conosceva i suoi genitori e raccontava del forte carattere della mamma Adelina (che io stesso ho conosciuto nelle buona e nella cattiva sorte del figlio) e delle fatiche del lavoro del papà, scomparso anzitempo. Così mio padre lo aiutò nella campagna elettorale delle Regionali del 1978 e fu lui a discutere con l’allora Presidente, Mario Andrione, affinché Guste - bandiera della Bassa Valle - diventasse assessore alla Sanità. Il primo scalino della sua carriera che io, che iniziai nello stesso anno a fare il giornalista, seguii con attenzione e pure trasporto per questo enfant du pays dotato di fervida intelligenza e grandi ambizioni, che da una vallata era sceso ad Aosta, occupando pian piano ogni ganglio vitale della vita pubblica valdostana con cipiglio e anche spregiudicatezza. Un lavoratore indefesso che sapeva come muoversi con abilità, trattando spesso meglio i nemici degli amici per ingraziarseli. E questo per me, nella mia ingenuità, non era stato mai del tutto comprensibile. Fra noi “fedeli” lo chiamavamo per scherzo Bokassa dal nome del dittatore africano cannibale che mangiava anche i…suoi amici. Fu lui nel 1987 a scegliermi - ovviamente con un voto del Comité dell’Union Valdôtaine - come candidato alle Politiche e, diventato deputato in quell’anno, piano piano mi allontanai da lui sino alla rottura. Non sono mai stato, come si dice talvolta, un suo delfino, perché non ne aveva bisogno e in realtà temeva chiunque crescesse in popolarità, perché l’Imperatore era lui e solo lui con il suo decisionismo e le asprezze per chi la pensava diversamente. Non sto ad aggiungere altro, se non che la sua ossessione per conquistare voti e svettare da solo in Politica lo ha visto vincitore in grandi passaggi, ma lo ha anche danneggiato e in fine carriera è stato destinato ad una sorta di solitudine da contrappasso. Così come si deve a lui e al suo carattere la grave diaspora unionista di tanti di noi per questa sua capacità divisiva contrapposta al carisma naturale in un paradosso che lo ha reso unico. Il mio, anche quando colpii me e miei familiari, non è mai stato odio nei suoi confronti, semmai delusione per questo uomo cui avevo voluto bene e che ammiravo, di cui nel tempo avevo capito aspetti e comportamenti che mi erano in molte occasioni estranei per convinzione e per formazione. Ma questo allontanamento non ha mai scalfito, anche nelle polemiche al calor bianco, un senso di rispetto, che si è trasformato in dispiacere per i suoi momenti difficili di questi ultimi mesi, impressionanti pensando alla personalità che è stata nei suoi vari ruoli. Riconosco i suoi successi e anche i gravi errori e trovo ingiusto che una malattia, cui non so dare il nome, lo abbia trasformato in una persona fragile. E come tale andava giustamente tutelata per evitare che il palcoscenico della politica, che non risparmia nessuno, lo danneggiasse nel futuro ricordo. Ora si ferma, dopo una lunga corsa, con molte belle pagine ed altre meno, che di diritto lo pongono, però, come personaggio storico da approfondire. Augusto merita ora il giusto riposo del guerriero e l’onore delle armi. E merita soprattutto il riguardo, che prescinde dal giudizio complessivo che ognuno di noi soggettivamente può dare sul suo operato. È stato un leader indiscusso, che ho visto in azione anche all’apice del successo, e che ora entra in una dimensione più intima, dopo tante battaglie sul ring della politica valdostana.