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22 gen 2024

Quando si pensa al passato

di Luciano Caveri

Il tempo passa e se ne va. Su questo non ci può essere discussione. In assenza di una macchina del tempo, che magari un giorno arriverà seguendo certe teorie di cui Albert Einstein è stato il papà, resta la forza della nostra memoria, che scava nella nostra vita già vissuta. Così pensavo in queste ore al fatto che 45 anni fa avevo cominciato, a cavallo fra il 1978 e poi più in concreto nel 1979, a fare il giornalista e, pur non praticante, ero stato “messo in regola”. Ero in una radio di Torino, trasferito per fare l’Università (la laurea arriverà più avanti), in cui mi buttai con passione per fare notiziari e approfondimenti. Radio Reporter 93 era fra le radio torinesi più ascoltate e ricordo che a Champoluc mi capitasse di poterla ascoltare per la magia della diffusione in modulazione di frequenza. Vivevo fra DJ diventati poi famosi, ed ero tipo mascotte, ma - memore di un prima praticaccia a Radio Saint-Vincent da liceale - scoprii ancor di più il fascino del microfono. Tempo dopo, tornai ad Aosta e divenni mezzobusto e reporter per Radio Tele Aosta (RTA), che svettava con la sua sede in cima a Palazzo Fiat in via Chambéry in un clima frizzante della libertà dell’apertura dell’etere alla concorrenza. Raccontare le cose e gli eventi in radio e tv non è proprio la stessa cosa. Sono gemelle diverse e le tecniche di utilizzo non si sovrappongono. Quando comincia nel 1980 a lavorare alla RAI (finalmente praticante!) mi convinsi di questo e, pur essendo il giornalista della Sede regionale impegnato in entrambe le tecniche, costruivo servizi sugli eventi valdostani del tutto separati, quando dovevo farlo. Cioè non seguivo la scorciatoia di riversare tout court il servizio tv per mandarlo in radio. La radio è racconto e suggestione proprio perché - scusate l’ovvietà - non può contare sulla forza delle immagini ed è anche, nella catena di costruzione di un reportage, un fatto più solitario fra il giornalista e il tecnico con cui monti e registri. La TV prevede le immagini e obbligherebbe ad una presenza fisica del giornalista sul posto dove si gira (oggi si manda troppo spesso l’operatore da solo), così come il montaggio è più complesso. Esiste, comunque una complementarietà, che consente una grande crescita per il giornalista che si trovi a giostrare con due strumenti. Così la lettura di un notiziario: la radio in diretta è implacabile se si cade in un inciampo o in un silenzio. Non esiste appello. Mentre la TV è presenza fisica e mimica ed è più facile uscire da un inciampo. Che bello nei ricordi rivedermi pieno di entusiasmo e di passione, convinto che quello sarebbe stato il solo mio lavoro per sempre e che considero ancora come tale. Per questo ogni giorno scrivo e per molti anni ho tenuto, in parallelo con la politica che mi rapì al giornalismo, rubriche radio o televisive e una scrittura regola, pur ormai acqua passata, sui giornali. Oggi sono dunque al capezzale di quel passato, su cui costruii - per le causalità delle vicende della vita - il Luciano politico. Uso il nome di battesimo, perché una delle mie grandi soddisfazioni, in parte legate a quel passato remoto della attività in RAI, fa sì - e per me è un grande piacere - che per tantissimi valdostani, quando quotidianamente li incontro per le ragioni più varie, sono e resto, in una logica colloquiale, ora come allora “Luciano”, senza titoli o orpelli. Ogni tanto riprendo in mano le poche fotografie di quel “me” giornalista e posso dire, con grande soddisfazione, di essermi divertito, mettendoci tutto me stessa. E credo di poter dire che ho fatto e faccio la stessa cosa nel mandato politico, che mai avrei pensato di cosi longue durée. Ma così è stato.