Mi ha molto divertito leggere un articolo di Elian Peltier sul New York Times nella versione pubblicata su Internazionale. L’incipit dimostra come - regola aurea del giornalismo - si debba essere bravi ad incuriosire il lettore sin dalle prime righe, specie oggi, visto che il tempo di attenzione, anche nella lettura, si è ridotto. Eccolo: “Il francese – secondo varie stime, la quinta lingua più parlata nel mondo – sta cambiando. Forse non nei corridoi dorati dell’Académie française, l’istituzione parigina che pubblica il dizionario ufficiale, ma su un tetto di Abidjan, la città più grande della Costa d’Avorio”. Una premessa e poi potremo entrare nel vivo. Il francese è un valore aggiunto per i valdostani e lo sanno bene molti giovani che vivono ormai fuori dai nostri confini. Il mondo della francofonia è ricchissimo e non bisogna vergognarsi se noi spesso lo parliamo senza l’”accent” da Île-de-France e magari con qualche parola derivata dal francoprovenzale o qualche italianismo e magari con l’impiego talvolta di faux amis. Ma torniamo in Costa d’Avorio: ”Lì, un pomeriggio, una rapper di diciannove anni che si fa chiamare Marla fa le prove del suo prossimo spettacolo, circondata da amici e bottiglie di bibite vuote. Le parole che usa sono in gran parte francesi, ma le mescola con lo slang ivoriano e l’inglese, creando una nuova lingua. Parlare solo francese c’est zogo, fuori moda, dice Marla – il cui vero nome è Mariam Dosso – combinando francese e slang ivoriano. Invece giocare con lingue e parole è choco, un’abbreviazione di chocolat, cioè “dolce”, “chic”. Il francese sta assimilando molte parole ed espressioni africane, spinto dalla grande crescita della popolazione giovanile nell’Africa occidentale e centrale. Nel continente vivono ormai più del 60 per cento delle persone che parlano francese nella vita di tutti i giorni e l’80 per cento dei bambini e delle bambine che lo studiano. A Kinshasa, la capitale della Repubblica Democratica del Congo, ci sono tanti francofoni quanti a Parigi. Attraverso social media come TikTok e YouTube, queste persone stanno letteralmente diffondendo il verbo, rimodellando il francese a partire da paesi che, come la Costa d’Avorio, un tempo erano colonie della Francia”. Me ne sono accorto,, qualche mese fa in Cameroun o nei miei viaggi in Guadalupa e in Martinica, dove ho potuto apprezzare questo francese arricchito da espressioni locali, spesso interessantissime. Ma questo vale anche per la Francia, spiega Peltier: ”Nelle strade di Parigi o nelle sue periferie può capitare di sentire qualcuno usare s’enjailler per dire “divertirsi”. Il termine è nato ad Abidjan per descrivere il modo in cui, negli anni ottanta, i ragazzi ivoriani in cerca di adrenalina saltavano su e giù dagli autobus in corsa. In Africa i giovani stanno aumentando, mentre il resto del mondo invecchia. I demografi prevedono che entro il 2060 l’85 per cento dei francofoni vivrà nel continente africano. È quasi l’inverso rispetto agli anni sessanta, quando il 90 per cento viveva in Europa e in altri paesi occidentali. “Il francese prospera in Africa”, osserva Souleymane Bachir Diagne, professore senegalese di filosofia e di lingua francese che insegna alla Columbia university di New York, negli Stati Uniti. “E questo francese creolizzato trova spazio nei libri che leggiamo, negli spettacoli che guardiamo in tv, nelle canzoni che ascoltiamo”. Quasi la metà dei paesi dell’Africa sono stati in passato colonie o protettorati francesi. Molti usano ancora il francese come lingua ufficiale”. Bisogna osservare naturalmente come la perdita di peso della Francia in Africa sta portando in certi casi alla riduzione dell’insegnamento del francese, come ho visto di persona in alcuni Paesi del Maghreg e sta capitando in Africa Centrale con certe tutele cinesi e russe. Ancora l’articolo: ”Il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato nel 2019: “La Francia dev’essere orgogliosa di essere, in fondo, uno dei tanti paesi che studia, parla, scrive in francese” (…) ”Se il francese diventa più ibrido, anche le visioni del mondo che porta con sé saranno più varie”, commenta Josué Guébo, poeta e filosofo ivoriano. “Se l’Africa influenza il francese da un punto di vista linguistico, forse lo farà anche da quello ideologico” ”. Una francofonia come ambiente in cui ci si arricchisce vicendevolmente e noi lo possiamo vedere anche nei rapporti con la Svizzera Romanda. Bello e stimolante la parte finale dell’articolo: a”Ma in Francia c’è ancora chi fatica ad accogliere il cambiamento. I letterati dell’Académie française, un’istituzione nata nel Seicento, sono al lavoro da quarant’anni sull’ultima edizione del vocabolario della lingua francese. Una sera Dany Laferrière, scrittore haitiano-canadese e unico rappresentante nero all’Académie, cammina per gli eleganti corridoi del palazzo sulla riva sinistra della Senna. Lui e gli altri studiosi devono decidere se inserire nel dizionario la parola yeah, comparsa negli anni sessanta. Laferrière riconosce che l’Académie avrebbe bisogno di modernizzarsi, incorporando il francese belga, senegalese o ivoriano. “La lingua francese sta per fare un grande salto e si chiede come andrà”, dice Laferrière. “Ma è elettrizzata dalla direzione che sta prendendo”. Fa una pausa, fissando la Senna dalla finestra, e si corregge. “Le lingue, non la lingua. Ormai ci sono tante versioni del francese, che vanno per la loro strada. E questa è una prova di grande vitalità” ”.