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09 gen 2024

Il 2024 e le riforme

di Luciano Caveri

Chissà se il 2024 porterà, ormai immagino dopo le elezioni Europee che ormai incombono, qualche novità istituzionale di sostanza e dunque incidente sulla riscrittura di parte della Costituzione vigente o sulla sua applicazione. Il Centrodestra spingerà sicuramente sul premierato e sulla famosa autonomia differenziata per le Regioni Ordinarie e di certo le Regioni a Statuto Speciale e le Province autonome dovranno riprendere il cammino interrotto in questi mesi per rivendicare alcune questioni, rispetto da una parte al costante svuotamento di poteri sotto i colpi delle sentenze della Corte Costituzionale e, dall’altra, per affermare quel principio dell’intesa per la modifica degli Statuti, che è aspetto fondamentale. Tra l’altro – lo ricordo – tutte le Regioni, tranne proprio la Valle d’Aosta, hanno alleanze di Centrodestra al governo e dunque assecondare questa riforma dovrebbe essere un processo naturale nei rapporti politici. Vado così con la memoria alla clamorosa occasione mancata all’inizio degli anni Duemila, quando venne riformata la parte riguardante il regionalismo, quella ancora in vigore, e si mancò per un pelo quell’occasione storica. Era il 26 settembre del 2000, quando quella riforma costituzionale venne approvata con il primo dei voti necessari a Montecitorio ed io, che pure all’epoca appoggiavo il Governo D’Alema, di cui ero pure Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, votai contro e il tema era proprio la questione dell’intesa. Così dissi in aula e riporto lo stenografico dell’aula: “LUCIANO CAVERI. Signor Presidente, colleghi, è con vivo rincrescimento che annuncio il mio voto contrario. Questo voto è in piena coerenza con le cose che ho detto e ho fatto in quest'aula dal 1987: mi aspettavo che, dopo tante discussioni, dopo la Commissione bicamerale, finalmente si arrivasse a qualcosa di concreto rispetto alla tematica del federalismo ed invece direi che il fatto stesso che l'aggettivo «federale» sia scomparso dal titolo fotografa una realtà che non condivido”. Già perché, prima di votare il testo, venne proposta – ed era assai chiaro sui destini della riforma – questa proposta del Comitato dei Ove, organo che esamina e propone degli emendamenti: “«Ordinamento federale della Repubblica» siano sostituite dalle seguenti «Modifiche al titolo V della parte II della Costituzione»”. Proseguivo in aula, citando il voto, invece, favorevole della SVP e la motivazione addotta: “Voglio però osservare che l'aspetto che mi spinge ad un voto negativo riguarda l'occasione mancata in favore delle autonomie speciali. Ho molto apprezzato l'intervento del collega Zeller, che con la solita maestria e la finezza giuridica che lo contraddistingue ha elencato le luci, gli aspetti positivi per la sua provincia e per le autonomie speciali presenti in questa riforma, come per esempio il bilinguismo che vale anche per la Valle d'Aosta-Vallée d'Aoste, il venir meno dei controlli governativi, e tuttavia vorrei dire che, per noi valdostani, l'assenza della garanzia internazionale, in qualche maniera, ci convinceva della necessità di radicare qui il principio giuridico dell'intesa. Noi riteniamo che il principio politico dell'intesa esista già oggi, ma ci siamo accorti di come questa nostra speranza sia ondivaga nei rapporti con Roma”. Molto spesso, infatti, io stesso ho sottolineato il carattere pattizio della nostra Autonomia speciale, ma sulle modifiche dello Statuto non esiste un scudo giuridico simile appunto alla garanzia internazionale dell’Austria sul Tirolo del Sud. Aggiungevo ancora: “Ecco perché credo che il fatto di non aver scritto l'intesa nel nuovo articolo 116 sia una grave responsabilità della maggioranza, del Governo e anche del centrodestra che nulla ha fatto per appoggiare questa logica pattizia. D'altra parte a chiederlo sono state la piccola Valle D'Aosta e le province di Trento e Bolzano e tre grandi regioni oggi governate dal Polo, quali il Friuli-Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna, non hanno detto nulla sul tema mentre il loro peso sarebbe stato importante nella discussione. Vorrei dire, dunque, che in tema di federalismo torna d'attualità un vecchio motto dell'Union Valdotaine cui appartengo: «ni droite, ni gauche», nel senso che constatiamo con amarezza che quando si giunge al dunque, all'applicazione reale di qualcosa che modifichi in profondità la Costituzione manca il coraggio e si paga quella necessità di trovare un quadro di intesa. Chiaramente comprendiamo tutto ciò, essendo una parte minuscola di questa maggioranza, ma è mancato quel coraggio che, probabilmente, avrebbe fatto fare a questa riforma un autentico salto in avanti. Vede Presidente, l'aspetto che mi amareggia di più è che come membro del secondo Governo D'Alema, in Commissione, all'interno del Comitato dei nove era passato il principio del pattizio e dell'intesa con un emendamento che diceva che «le leggi costituzionali di modifica di detti statuti sono adottate sulla base di intese con le regioni interessate». Alla ripresa settembrina, invece, la delusione e la scomparsa di questa definizione che ha creato sconcerto nello stesso consiglio regionale della Valle d’Aosta, i rappresentanti del quale ho incontrato in questi giorni e nel Governo regionale. Ecco le ragioni di un voto contrario: una grande occasione per incardinare il principio del pattizio che avrebbe dato un respiro diverso a questa riforma costituzionale. Arriverà il federalismo? Arriverà in fondo questa riforma? È difficile dirlo. La mia unica speranza è che ci si renda conto che federalismo non sono solo parole di ingegneria costituzionale da misurare con il bilancino, ma è la reale volontà di una modificazione di sostanza della Costituzione vigente”. Oggi sperare nel federalismo - tenendo conto del centralismo esacerbato che si sta materializzando e il cui esempio plastico è il PNRR – è illusorio e proprio per questo l’intesa sulle modifiche dello Statuto sarebbe, intanto, un’assicurazione sulla vita.