In queste ore verrà presentata una grande manifestazione a carattere europeo che si svolgerà nei prossimi giorni in Valle d’Aosta. Non vorrei rompere in nessun modo l’embargo per evitare fughe di notizie, prima di una presentazione ufficiale. Mi limito a dire che si tratta di momento significativo per la nostra comunità ed è una specie di riconoscimento ad una piccola Regione autonoma - forse la più piccola in Europa! - che ha fatto della visione europeista una propria caratteristica. Credo che i valdostani debbano essere fieri di avere avuto e di mantenere un respiro continentale, che viene di fatto onorato in un momento per altro cruciale nel percorso dell’integrazione europea. Non vorrei essere allarmista, ma molti segnali nel Vecchio Continente e nel resto del mondo dimostrano - e lo scrivo con profonda tristezza - una temibile messa in discussione della democrazia e dei suoi valori, di cui l’europeismo è espressione assoluta. Mi viene in mente una frase profetica di una ventina di anni fa di Paul Ginsborg: “La democrazia ha molti nemici in attesa tra le quinte, politici e movimenti per il momento costretti a giocare secondo le sue regole ma il cui intento reale è tutt'altro – populista, di manipolazione mediatica, intollerante e autoritario. Conquisteranno molto spazio, se non riformeremo rapidamente le nostre democrazie. E non c'è ambito in cui questa riforma sia più necessaria che in seno alla stessa Unione Europea”. Fallita la strada della Costituzione europea, bisogna non demordere e lavorare lungo la strada ancora non percorsa del federalismo come forma istituzionale e non affidata alla vaghezza di una sussidiarietà più di facciata che di realtà. Ma si parte giocoforza dall’europeismo e anche dalla chiarezza che si impone. Un esempio fra tutti: bene che ci siano candidature per l’ingresso in Europa (Ucraina, Moldavia, Paesi balcanici), ma altrettanto bene riflettere su Paesi dell’Est Europa - come Ungheria e Slovacchia - che occhieggiano alla Russia e questo, sia chiaro, è incompatibile con il percorso comunitario. Non si possono tenere delle serpi in seno. Nel caso valdostano, siamo depositari di un eredità storica in un crescendo di consapevolezza che ha attraversato tutto il Novecento e che ora ha traguardato il nuovo Millennio. Essere europeisti non era neppure in Valle una banalità nel delicato passaggio fra le due guerre mondiali, non lo era durante il secondo conflitto mondiale e dopo questa guerra con l’ondata che ha portato all’attuale Unione europea: percorso che è stato cavalcato con grande convinzione dal mondo autonomista cui appartengo. Sono sempre stato in questo solco e ne sono del tutto fiero e la scelta è passata attraverso due percorsi che si sono incrociati. Appartengo ad una generazione che ha grossomodo la stessa età delle istituzioni comunitarie e che ha visto crescere la pianta europea con radici antiche e con la spinta decisiva - purtroppo va ricordato - degli orrori della prima metà del secolo scorso. Questo significa consapevolezza di che cosa sia l’Europa per controbattere in maniera decisa ogni controinformazione e tutti gli specchi deformanti che ridicolizzano o sminuiscono l’Europa. Il secondo è un mio percorso personale. Dell’Europa mi occupai come deputato nazionale, in seguito come europarlamentare e successivamente e ancora oggi al Comitato delle Regioni. Un percorso che mi ha reso ancora più europeista, pur conscio dei molti limiti e delle profonde migliorie necessarie. Ma solo degli improvvidi o dei guastatori possono pensare ad un mondo senza l’Unione Europea, che significherebbe non solo la fine di una stabilità e di un percorso di dialogo come antidoto alle guerre che insanguinano in scenari vicini o lontani, ma sarebbe anche una scelta di declino e un ritorno inquietante degli Stati nazionali con il virus sovranista attualmente in circolo. Il rischio è quello di far emergere nuove e pericolose forme di autoritarismo frammiste a nazionalismi anacronistici e potenzialmente incendiari e distruttivi.