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13 nov 2023

Il dialogo sulla montagna

di Luciano Caveri

Capita sempre così dovunque io vada. L’ultima esperienza a Premia in Val Formazza, paesino vicino alla più nota Crodo, località del celebre Crodino, che adesso una multinazionale produrrà altrove. Zona di comuni walser e lo si vede subito dalle case. Attorno le loro montagne, che ricordano alcune zone valdostane di media montagna. Ci sono stato per parlare di come vedo il futuro delle nostre Alpi. L’ho fatto di fronte ad un pubblico attento con la sensazione lì ed altrove, lungo tutto l’Arco alpino, di essere a casa. Sensazione forte che ho avuto anche in altri massicci montani, che mostrano le analogie derivanti dagli ambienti naturali e dalle culture nate in ambienti simili e questo l’ho visto non solo in Europa, ma anche in altri Continenti. Dico sempre, scherzando ma non troppo, che esiste una specie di Internazionale dei montanari, che naturalmente si declina a seconda dei gradi di sviluppo e le Alpi (come mostra la parola alpinismo che si pratica non solo da noi) sono da sempre un punto di riferimento. Parlare dei problemi della montagna vuol dire anzitutto, nel caso delle nostre vallate della macroregione alpina (che deve essere sempre più istanza politica), avere consapevolezza della profondità storica e del fatto che si tratta di una realtà forgiata dalla presenza umana. Il popolamento delle Alpi è tema davvero antico e lo chiarisce in modo evidente quel luogo misterioso che è l’area megalitica di Saint-Martin de Corléans, che ci parla attraverso 6000 anni di storia. Chi si occupa dei problemi della montagna deve sentirla questa eredità e di chi nelle diverse epoche ha interpretato i modi di viverci. Oggi, ad esempio, a parlare delle montagne sono spesso gli alpinisti e la loro visione è interessante, ma il fenomeno di cui sono interpreti è nato due secoli e mezzo fa e dunque vedono solo un piccolo pezzo di uno scenario più vasto e ci vuole cautela quando alcuni si ritengono interpreti di un tutto ben più complesso. Per questo bisogna dialogare sul futuro, perché nessuno ha la verità in tasca. Men che meno la verità ce l’ha certo ambientalismo da conventicola che aborro, perché vorrebbe tornare ad un mitico passato di montagne selvagge con l’uomo messo in un cantuccio in una vita parca, quasi monastica, sfuggendo alla modernità consumista e…capitalista. Lo stesso che in queste ore plaude con grande godimento al cattivo tempo che ha impedito le due gare di Coppa del mondo fra Zermatt e Cervinia sul ghiacciaio della Valtournenche. Gli argomenti di confronto da esaminare sono tanti e li ho ricordati. Il cambiamento climatico da affrontare senza chiudersi in eremi pensosi, la digitalizzazione che è una finestra sul mondo e non una diavoleria, la crisi demografica da affrontare senza pensare a donne fattrici per forza, l’immigrazione da regolare ma priva dell’illusione che qualunque cultura possa attecchire, il tema dei grandi predatori che rischiano di espandersi senza fine, l’idroelettrico come ricchezza che può figliare il vettore idrogeno, l’agricoltura di nicchia che può crescere, il turismo che resta una ricchezza e prevede clientele di vario genere e lo sci resta per ora non sostituibile e chi ne predica la morte subitanea è un bugiardo. Certo bisogna organizzarsi bene nella discussione complessiva e in democrazia lo devono fare soprattutto gli eletti e non i gruppuscoli tipo autocoscienza e chi decide lo deve fare in connessione con quella parte di società che vuole crescere e migliorarsi e non con chi fa della critica perenne la noiosa colonna musicale della propria vita.