Leggevo del rilevamento ISTAT permanente delle istituzioni no profit, da cui risulta la perdita quasi di un milione di volontari attivi nelle organizzazioni, passati dai 5,5 della rilevazione precedente, quella del 2015, ai 4,6 del 2021, anno di riferimento della nuova indagine. Esiste nel terzo settore una difficoltà a coinvolgere nuovi volontari e ad avere un ricambio generazionale. Vado a vedere quanto scrivevo sul tema proprio nel 2015 e questo dimostra che questa situazione la si sentiva arrivare: “Nel momento in cui il settore pubblico arretra e lascia spazi vuoti - così scrivevo allora - si indica nel ruolo del volontariato una delle strade maestre, considerando l'impegno civico personale come una medicina ad adiuvandum lo Stato Sociale, quando abbandona alcuni campi. (…) Tra l'altro andrebbe chiarito, come avviene in tutti i Paesi civili, che il volontariato non è né di Destra né di Sinistra, penetrando in larga parte del tessuto sociale come un impegno personale, certo spesso in forma collettiva, che ha nel suo "dna" anzitutto il desiderio - ripeto disinteressato - di "fare del bene" o, giusto addendo, "essere attenti alla difesa del bene comune" “. Noto per inciso come nel frattempo lo stesso termine “bene comune” sia stato fiaccato dal suo evidente abuso. Il rischio che un’espressione diventi prezzemolo c’è sempre. Resta il fatto che certe difficoltà nel reperimento di volontari sono aumentate e questo pesa anche in Valle d’Aosta, dove esiste un reticolo forte del Terzo Settore e cioè enti di carattere privato e associazioni che operano senza scopo di lucro. Questo non significa non avere profitti, ma più semplicemente reinvestirli per finanziare le proprie attività, senza redistribuirli tra i membri delle proprie organizzazioni o ai propri dipendenti, che ovviamente sono pagati per il lavoro svolto. Segnalo sempre in questi casi la scelta francese di avere una meglio definita categoria di volontariato chiamata bénévolat", cioè impegno non retribuito in nessun modo, ma mi pare che la modellistica italiana sia ormai diversa, come da legge quadro in vigore e perimetrare ulteriormente risulterebbe difficile. Della crisi scriveva ieri sul Corriere Beppe Severgnini, con un incipit chiarificatore e un esempio che lo concerne: “Compiere un gesto generoso è facile, essere generosi è difficile. Potrei suggerirlo come motto all’Abio, Associazione per il Bambino in Ospedale. Fondata nel 1978, assiste i piccoli ricoverati e le famiglie. Ieri ha festeggiato la giornata nazionale in molte piazze d’Italia. Un aiuto prezioso, un servizio formidabile. Ma la preoccupazione si sente. Di Abio, da anni, sono testimone (oggi affiancato dalla nipotina Agata, diciotto mesi, fuoriclasse del video). Ieri sono stato a Magenta. La locale associazione stenta: si sono informati in 60, all’incontro preliminare erano in 25, sono rimasti in tre. Perché tante rinunce? Perché il servizio ai bambini in ospedale — mi ricordava ieri il presidente Abio, Giuseppe Genduso — richiede preparazione: sanitaria, psicologica, pedagogica, legale. Le norme sulla protezione dei dati (Gdpr) sono complesse (fin troppo). La contabilità dev’essere rigorosa. Il servizio preciso, continuo, regolare. Tutto ciò richiede impegno e fatica”. Più avanti la proposta, che è anche una stoccata, forse ingiusta: “Che fare? Be’, le regole potrebbero essere allentate: il carico amministrativo nel terzo settore sta diventando insostenibile. E i volontari — tutti, non solo quelli dell’Abio — devono convincersi che contano la precisione, l’affidabilità, la costanza. I clown in reparto sono ammirevoli. Ma arrivano e ripartono. La differenza la fa chi resta”. Verissimo e aggiungerei solo che in Italia, a beneficio del volontariato vero e ben strutturato, andrebbero fatte azioni serie per distinguere il grano dalla pula, pensando a chi si è insinuato senza ragione nel volontariato. Resta il fatto che, continuando di questo passo con il calo degli aderenti e l’invecchiamento dei volontari, rischia di andare in crisi uno dei pilastri non solo del nostro Welfare, ma dello sviluppo economico in genere, perché in molti casi si creerebbero vuoti non sostituibili.