Ho seguito con interesse il dibattito sulla scelta di inasprire certe misure nei confronti dei minorenni che compongono soprattutto le famigerate baby gang. Usai questo termine - baby gang - qualche tempo fa a proposito di alcune vicende a Verrès, ma l’allora Questore respinse l’utilizzo della definizione per ragioni, diciamo così, tecniche. Da dizionario sarebbe “Banda di giovanissimi che si rende responsabile di azioni di microcriminalità”, dunque non mi pare di avere a suo tempo esagerato nell’uso, ma - come sempre - mi inchino a chi ne sa più di me in materia di ordine pubblico. Resta la sostanza e cioè l’impressione che ci sia talvolta una situazione di scarsa repressione, che rischia di ingenerare impunità, nei confronti dei giovanissimi che approfittano della loro età. Immagino che questo abbia spinto il Governo ad inasprimenti che sono stati considerati da esperti vari come eccessivi. Vedremo quando le norme saranno esaminate in Parlamento nella discussione sul cosiddetto “Il Decreto Caivano” che contiene misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile. Caivano è un comune di circa 37 mila abitanti che si trova alle porte di Napoli alla periferia dei più grandi centri urbani di Caserta e Aversa. Questa zona negli ultimi tempi è tornata al centro della cronaca nera per episodi sanguinosi vari nella più grande piazza di spaccio dell’intero Sud. Il Presidente della Campania Vincenzo De Luca ha detto: “È un inferno in terra. Bisogna istituire uno stato d’assedio vero e proprio militare, è un’espressione forte, ma non riesco a trovarne un’altra”. Il Presidente Giorgia Meloni ha visitato Caivano. esprimendo il suo sdegno e subito dopo c’è stato un muscolare blitz delle forze dell’ordine, cui la Camorra ha reagito con episodi intimidatori per confermare il suo controllo del territorio, che passa anche attraverso un’attiva manovalanza criminale giovanile. Giorni fa ne ha scritto Antonio Polito di questo fatto di colpire chi delinque da giovanissimo, ricordando anzitutto il giovane musicista assassinato, dopo un alterco con un gruppo di ragazzi: ”Nessuno ha osato obiettare nulla - e ci mancherebbe - quando Daniela Di Maggio, la madre di Giogiò, ha detto per che il minore che ha assassinato il figlio andrebbe processato e punito come un adulto, perché se uno va in giro armato di pistola e la usa per regolare le controversie più futili della vita quotidiana, per esempio una discussione sul parcheggio del motorino, allora non può trovare alcuna giustificazione nella sua età. Eppure in moltissimi hanno subito obiettato alle nuove norme penali introdotte per i minori dal Consiglio dei ministri nel cosiddetto decreto Caivano. È tutto un mettere in guardia sul fatto che non è la paura della pena a fermare la mano dei delinquenti, che bisognerebbe prevenire più che reprimere, che ci sono reati e reati e alcuni sono troppo «minori» per essere duramente sanzionati, che il carcere non è la soluzione e ci vorrebbero piuttosto più scuola, più educazione, più cultura. Tutte cose vere, intendiamoci. Ma che non tolgono un briciolo di verità a quello che ha detto la mamma di Giogiò. Bisogna certamente essere duri nel contrastare le cause sociali, culturali e ambientali del crimine, su questo nelle nostre terre si fa da troppo tempo troppo poco, lasciando i giovani nell’indigenza, nella disoccupazione, nell’evasione scolastica, e dunque in balia di modelli devianti e violenti”. Giuste sottolineature, ma questo non basta e concordo con Polito: ”Ma, allo stesso tempo, bisogna cominciare a essere più duri anche con il crimine e con chi lo commette, mettendo fine a ogni «buonismo» - come lo ha chiamato su questo giornale l’ex procuratore generale Riello - a ogni giustificazionismo, a ogni riflesso condizionato che induce la nostra intellighenzia a dare la colpa alla società di qualsiasi comportamento individuale sbagliato. Perché se la cultura dominante toglie valore alla responsabilità dei minori, se cerca per loro sempre una scusa, allora diventa poi davvero difficile convincerli a non trasgredire, a rispettare le leggi dell’umanità prima ancora che quelle dello Stato. Questo errore è stato commesso negli ultimi decenni. E dobbiamo riconoscerlo. Come lo riconosce con onestà anche una persona non certo imputabile di disattenzione alle cause del disagio giovanile, e anzi impegnato ogni giorno sul campo, come don Patriciello. Per questo non si capisce davvero che cosa ci sarebbe di eccessivamente repressivo nell’avere allargato il campo dei reati che prevedono l’arresto in flagranza facoltativo dei minori sopra i 14 anni. Forse non sarà un deterrente sufficiente, ma quantomeno crea un conflitto di interessi tra il ragazzo mandato a delinquere (per esempio con lo spaccio di droga) e il mandante che ci guadagna. Ai minori di 14 anni, giustamente a mio avviso, e contrariamente a quanto chiedevano sia Salvini sia De Luca, questa norma non è stata estesa, ma si prevede un «avviso orale» da parte del questore al ragazzo e alla sua famiglia. Che viene chiamata più severamente in causa su una delle piaghe sociali più gravi nella nostra città: i genitori che non fanno abbastanza per mandare in figli a scuola rischiano ora una sanzione penale vera e propria. Intendiamoci: è possibile che, come spesso avviene in Italia, tutte queste nuove norme si trasformino rapidamente in «gride» manzoniane”. Propongo infine il finale del dolente editoriale: ”Scarso personale di pubblica sicurezza per le strade, carente capacità di azione dei tribunali quando non tacita contestazione delle norme da parte di qualche magistrato, abitudini sociali e culturali dure a morire, tolleranza della città, «perbene» nei confronti degli stili di vita della città «permale» in nome di una malintesa «napoletanità», sono tutti fattori che possono spegnere rapidamente il fuoco sacro che la sorte di Giogiò ha finalmente acceso, dicendo a tutti noi che non si può continuare così. Ma almeno vale la pena di provarci. A chi accusa il governo di aver esagerato nella reazione all’omicidio di Piazza Municipio per motivi di consenso, bisogna chiedere perché mai c’è quel consenso per misure più rigorose. Di fronte a una morte così, il rischio di non mostrare da parte dello Stato alcuna reazione sarebbe stato a mio modo di vedere molto peggiore del rischio di una reazione eccessiva. Dopo il delitto, deve venire il castigo”.