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02 ago 2023

Il rincorrersi del comunicare

di Luciano Caveri

Sparisce anche a me l’uccellino di Twitter. Come direbbe Victor Hugo: “L'oiseau s'enfuit dans l'infini”. Un padrone assoluto, Elon Musk, che ne ha pagato profumatamente l’acquisto, decide di fare il brutto o cattivo tempo in barba a milioni di utenti che vi trovavano spazi e soddisfazione. E ora temono il peggio. E così mi domando per l’ennesima volta che ne sarà dei Social e cosa sarà di noi a causa dei Social. Per carità, resta chiaro che questi strumenti di comunicazione sono destinati a nascere e a morire. Esiste per altro una strana staffetta dall’oralità si passò allo scritto, poi i passi successivi hanno visto la voce come protagonista, ma senza dimenticare le immagini e poi si è passati a mischiarli. Lo vediamo su Whatsapp, passando dalla scrittura al messaggio vocale e usando foto, filmati e emoji e affini. Un cocktail che è diventato la quotidianità del nostro correlarsi con gli altri. Leggevo tempo fa su Internazionale Alard von Kittlitz su Die Zeit, giornale tedesco, che racconta della scrittura e in un passaggio ne svela le origini: ”La paleografia parte del presupposto che ogni scrittura affonda le sue radici nel disegno, per esempio nella pittura rupestre, con le sue raffigurazioni di tori ed esseri umani. A un certo punto si è arrivati all’astrazione: una testa taurina ridotta a pochi tratti, un pube stilizzato in un triangolo. Queste forme astratte sono diventate pittogrammi. Una volta standardizzate, hanno acquisito un contenuto informativo che andava un poco al di là del disegno stesso, come per esempio la testa del toro per indicare in generale ogni esemplare forte di bovino maschio. Significati sempre più astratti hanno dato vita agli ideogrammi, con la testa di toro che rappresenta lo stemma di un clan, per dire, o il triangolo la femminilità. Poi sono arrivati i logogrammi, in cui ogni segno sta per una parola specifica, per esempio rén, il simbolo cinese per uomo. Infine i fonogrammi: segni che non rappresentano altro che suoni, separati dalle cose”. Ma a un certo punto il passo è decisivo: ”E poi c’è l’alfabeto: bastano circa 25 segni per poter scrivere praticamente le parole di tutte le lingue, in tutte le coniugazioni e declinazioni, in tutti i generi e in tutti i tempi. È infinitamente più semplice e flessibile dei sistemi precedenti: una scatola magica, comoda e inesauribile”. In seguito un’altra conquista: ”Il nuovo sistema di scrittura fu diffuso in tutta l’area mediterranea dai mercanti fenici, che si resero presto conto dei vantaggi che offriva. E così questa grafia diventò famosa nella storia come alfabeto greco, per poi raggiungere, come alfabeto latino, la forma che mantiene ancora oggi nelle righe che state leggendo. Seicento anni fa Johannes Gutenberg la consegnò alle macchine e ci fu il passaggio dal manoscritto medievale, lettere e immagini faticosamente realizzate da monaci e copisti, a volantini, giornali e pamphlet a stampa accessibili a chiunque. Da allora, ogni lettera è sempre uguale a se stessa: non è più possibile distinguere questa a da quest’altra a da un’altra ancora. Il mondo è irreversibilmente uniforme”. Ma il mix diventa straordinario se ci se mette la capacità di raccogliere la voce, di diffondere i suoni, cui si aggiungono le immagini. La capacità espressiva dell’umanità diventa straordinaria e dilaga sino quasi ad investirci in un mondo di comunicazioni in continuo movimento. Oggi calma e silenzio, il far nulla e stare soli sono diventati un lusso.