Probabilmente è per difetto, ma credo di aver preso nella mia vita almeno un migliaio di aerei, molti per l’attività politica vissuta ma anche per turismo, mai abbandonato per scelta da discreto giramondo, cui ho sempre dedicato uno spazio di decompressione. Molti di questi aerei sono stati per una sorta di pendolarismo da parlamentare, diventato parossistico quando ero stato per un anno a Roma e a Bruxelles in contemporanea. Altri ne ho presi - in altre vesti - per convegnistica di varia fatta e anche, come dicevo, per diletto alla scoperta di luoghi nuovi. Considero per questo la scoperta dell’aviazione e i suoi sviluppi come una grande chance per muoversi e osservo con curiosità da entomologo chi decide di non prendere l’aereo, rinunciando di fatto a spazi reali della propria libertà di movimento. Già che, purtroppo, per la stupidità umana ci sono Paesi dove non si può più andare per violenze e pericoli. Ho vissuto estati piuttosto stanziali fra infanzia e giovinezza, poi ho scelto di cambiare, sapendo che ci sono troppi luoghi che vorrei vedere e che, nella brevità della vita, mi sfuggiranno e dunque scandisco la vita con qualche ”fuga”. Finché posso però mi abbevero, conciliando questa spinta con i miei doveri istituzionali e poco importa che qualcuno per questo parossismo di guardarmi in giro usi l’arma spuntata dello sfottò per prendermi in giro per questa abitudine nomade. Io mi sento semmai di dire che viaggiare è un dovere e non solo perché - scusate la banalità - abbiamo gambe e piedi e non radici, ma anche perché ritengo che sia una scelta arricchente, specie - lo sottolineo - per chi fa politica e pure amministrazione e dovrebbe avere la curiosità è saper guardare altrove come regola. Così, per una serie di casi, ho messo assieme in un periodo relativamente breve due viaggi di famiglia e uno di lavoro in Africa. L’Egitto è stato molto turistico da Il Cairo verso Luxor e poi Assuan, perché in parte inquadrato in comitiva. In certi Paesi (sul pullman c’era un tizio con il mitra) il ”fai da te” va limitato al massimo. Emerge - dovessi dare un’impressione flash - un Paese che non svolta, avvelenato da un regime dittatoriale e da un islamismo ossessivo, e che in più non sfrutta in modo efficace le risorse storiche di assoluta unicità. Poi sono stato, organizzato in larga parte in proprio, in Marocco a Marrakech, una città avvincente dove si respira invece, pur con i limiti di tutti i Paesi arabi, un’atmosfera di un qual certo dinamismo. Le donne sembrano coscienti dei propri diritti, quanto paradossalmente non sembra emergere in alcune delle loro comunità emigrate in Europa. Infine il Camerun con un mordi e fuggi molto istituzionale, inquadrato nell’Association internationale des Régions francophones, che raccoglie espressioni varie della democrazia locale e si nota con evidenza come in tutti i Paesi membri si discuta del decentramento e dell’autonomia. Stare a Yaoundé mostra un’altra Africa, anch’essa sospesa fra passato e futuro con crescite demografiche che raffrontate al nostro calo delle nascite parlano da sole. Ogni esperienza di questo genere aggiunge un pezzo di conoscenza, fa scoprire lati non considerati, problemi non valutati, sorprese piacevoli o spiacevoli. Apre sempre un piccolo spaccato di come le culture umane sappiamo variare in modo impressionante, ma sempre con la possibilità - se lo si vuole - di conoscersi reciprocamente. Questo non vuol dire un colossale e ipocrita “vogliamoci bene”, perché in molte civiltà umane albergano anche quelle che considero inciviltà. Penso ai diritti civili negati, all’eguaglianza e alla dignità calpestati come cartina di tornasole cui non intendo rinunciare in nome degli eccessi di chi pratica con eccessiva disinvoltura il relativismo culturale. Quando si adopera come giustificazione di usi, costumi, comportamenti - che si vorrebbero disinvoltamente coprire con alibi - quando invece nel violare principi fondamentali del vivere in società con il Diritto come bussola si entra su di un terreno inaccettabile per chi crede nella democrazia.