Adoperiamo ogni giorno diverse espressioni facciali e posture del corpo che mostrano il nostro stato d’animo. È quel côté animale che consente di poter evitare o si sovrappone alla nostra capacità verbale. Ho letto un lungo e interessante articolo di Rebecca Roache sul giornale australiano Aeon, tradotto da Internazionale, su di uno dei nostri comportamenti, che è quello, noto a tutti, di “tenere il broncio” o “essere musoni”. Così scrive l’autrice, che insegna filosofia alla University of London, nel Regno Unito: “Le persone mettono il broncio quando si sentono offese. A volte hanno davvero subìto un torto, ma altre sono solo amareggiate perché hanno perso” Certi silenzi e la “faccia da ciabatta”, come la chiamo io sono una duplice scelta: “Una è il desiderio di punire: chi è imbronciato vuole che il suo atteggiamento crei problemi al suo destinatario, cioè alla persona che lo ha offeso.(…) Se non si arreca danno a qualcuno, imbronciarsi non dà nessuna soddisfazione. Non ha senso fare il broncio con qualcuno a cui non interessa comunicare con noi. La seconda condizione necessaria per trasformare una chiusura in broncio è, sorprendentemente, comunicare con il destinatario. Il broncio funziona se facciamo capire a quella persona che siamo arrabbiati, risentiti con lei per averci fatto arrabbiare e che è suo compito rimettere le cose a posto”. Facile immedesimarsi. Ma la situazione, secondo la Roache, non è sempre semplice: “Ma dato che i musoni spesso si rifiutano di parlare con gli altri, come fanno a comunicargli qualcosa? Ci riescono perché non si comunica solo con le parole. Anzi, un’enorme quantità di quello che esprimiamo è di tipo non verbale. Pensate a come un semplice “grazie” può risultare sincero o meno, di cuore o sarcastico, a seconda del linguaggio del corpo e dell’espressione facciale di chi parla. Lo stesso vale per il cupo “niente” dell’imbronciato, quando gli si chiede cosa c’è che non va: non ammette esplicitamente che c’è un problema, ma il suo linguaggio del corpo e il suo comportamento esprimono l’esatto contrario. Per comunicare il turbamento in modo non verbale è importante che il destinatario sia in grado d’intuire che l’imbronciato ha qualcosa che non va. Per questo di solito teniamo il muso con persone che ci conoscono bene”. La spiegazione è in fondo semplice: “Se l’imbronciato volesse comunicare direttamente quello che esprime indirettamente, potrebbe dire qualcosa come: “Sono turbato dal tuo comportamento e mi sentirò meglio solo se risolverai il problema che hai creato e mi consolerai”. Ma questa verbalizzazione comporta alcuni potenziali svantaggi. Uno è che l’imbronciato comunicherebbe (indirettamente) che è disposto a discutere del motivo per cui è arrabbiato, cosa che non intende fare, soprattutto perché l’altro potrebbe mettere in dubbio che il suo comportamento è giustificato e risentirsi a sua volta. Il rifiuto della comunicazione verbale, invece, consente di esprimere indirettamente il proprio turbamento e la mancanza di disponibilità a parlarne. Un broncio riuscito spinge il destinatario a soddisfare le richieste dell’imbronciato senza discutere. Naturalmente, questo presuppone che il primo interpreti correttamente la comunicazione indiretta dei sentimenti e dei bisogni del secondo”. Fra le diverse spiegazioni l’autrice propone anche questo: “Nel suo libro Il corso dell’amore (Guanda 2017) il filosofo britannico Alain de Botton spiega il fascino del broncio in termini di “promessa di tacita comprensione” di cui abbiamo goduto da bambini, quando i nostri bisogni erano anticipati e soddisfatti senza che dovessimo esprimerli. De Botton scrive: “Questo potrebbe essere il motivo per cui in un rapporto, anche il più eloquente tra noi può istintivamente preferire di non spiegarsi per vedere se il partner sa capirlo. Solo una lettura della mente precisa e senza parole è un vero segno del fatto che è una persona di cui ci si può fidare. Solo quando non dobbiamo spiegarci possiamo sentirci sicuri di essere veramente compresi”. In fondo è una richiesta d’amore e un test per verificarlo. Passo alle conclusioni: “Il broncio funziona perché la comunicazione è complessa e la realizzazione dei nostri obiettivi spesso dipende sia da quello che comunichiamo sia da come lo facciamo. Questo non è sempre riconosciuto nelle culture che apprezzano una comunicazione chiara, trasparente, in cui tutto quello che vale la pena di dire va detto esplicitamente. La nostra disapprovazione per il broncio dipende in parte dal fatto che è una strategia indiretta, ma anche dalla posta in gioco, che è molto alta. Dopotutto, le battaglie relazionali sono regolarmente combattute e vinte o perse attraverso il muso lungo. Come in altre forme indirette di comunicazione, davanti al broncio è difficile capire cosa sta succedendo. Lo riconosciamo quando lo vediamo, ma è difficile definire cos’è, come funziona, perché lo facciamo e così via. La nostra limitata comprensione rende difficile stabilire cosa sia un comportamento corretto in questi casi. Qual è la differenza tra un broncio fastidioso ma genuino e rispettoso, e uno minacciosamente manipolatorio? E come può il destinatario capire che tipo di broncio ha di fronte, dato che l’altro non vuole parlare? Accettare di essere il destinatario cooperativo di un broncio richiede, oltre a tanta pazienza, la fiducia incondizionata che l’altro sia corretto e non ci stia manipolando. Spesso questo si accompagna al timore che l’imbronciato ci stia solo prendendo per scemi”. È bene rifletterci!