Leggo su Twitter - terreno interessante per ricavare delle massime davvero sintetiche - un pensiero fulmineo e faccio un rapido “copia incolla”, perdendomi però nella fretta il nome dell’autore e me ne scuso. Eccolo: “Oggi il benaltrismo - tecnica ambigua di spostare l’attenzione su qualcosa che a loro dire ‘è ben più grave’ - non sembra solo un disturbo cognitivo - l’incapacità di concentrarsi e analizzare quello specifico fatto - ma ha a che fare con la giustificazione dunque la connivenza”. Già, è proprio così e la quotidianità c’è lo dimostra persino troppo spesso. Se parli della Russia e della evidente aggressione dell’Ucraina, ecco spuntare il filorusso che se la piglia con la NATO o con gli ucraini nel Donbass. Condanni i rigurgiti neofascisti negazionisti dell’Olocausto e uno annota polemico come la mettiamo con Stalin e i gulag. Critichi l’assistenzialismo nel Sud e spunta la polemica antisabauda dei Borboni buoni. Commenti alcuni risultati di calcio di chissà quale squadra ed ecco spuntare - per me juventino - la solita tiritera sui “frega partite”. Ancora più preciso sul fenomeno che distorce ogni discussione è Stefano Bartezzaghi: Il "benaltrismo" è quell'atteggiamento che rifiuta di affrontare qualsiasi problema poiché ne trova sempre uno più grosso e importante. L'ipotesi che per ogni problema è sempre possibile trovarne uno più grosso e importante ha basi solo induttive e non può essere verificata: ma di fatto non è mai stato trovato un singolo caso che la smentisse. Che sia introdotto da un "Benaltro" o da un più leggendario "Non dimentichiamoci che" si tratta sempre del passaggio da un palo a una frasca, nei casi più giustificabili, da una pagliuzza a una trave. Se non è un modo per sviare un discorso sgradito, è comunque sintomo di nevrosi, di un eterno decentramento del focus, una bulimia del problematico che si può risolvere solo con ben altro che una battuta di spirito”. Si fotografa così, in poche frasi, la passività, l’indecisione dell’uomo d’oggi, quando si impantana nelle scelte, rimandando prese di posizione chiare nelle decisione. “Prendere posizione” su questioni puntuali diventa un rimando a problemi diversi, che magari sono affini in una lotta al rialzo che può apparire infinita e diventare - anche se l’espressione immagino sia ormai politicamente scorretta - un dialogo fra sordi. Ne scriveva con un certo pessimismo Italo Calvino: “Il problema è capirsi. Oppure nessuno può capire nessuno: ogni merlo crede d’aver messo nel fischio un significato fondamentale per lui, ma che solo lui intende; l’altro gli ribatte qualcosa che non ha relazione con quello che lui ha detto; è un dialogo tra sordi, una conversazione senza né capo né coda. Ma i dialoghi umani sono forse qualcosa di diverso?”. Per questo - per la necessità empatia alla base di un dialogo - personalmente amo la chiarezza e mi fa piacere trovare interlocutori che non cincischiano, dicendo pane e pane e vino al vino quale sia il loro pensiero senza distrazioni o fumisterie. Lo vedo anche in politica in chi tentenna per non dispiacere e tiene, sinché regge, un piede in due staffe. E questi equilibrismi raggiungono l’apice in chi, proprio per non prendere posizione, rilancia la palla fuori dal campo della discussione, cambiando scenario per non essere puntuale. Talvolta vien da invidiare chi ha scelto di essere eremita e bisognerebbe fare - ma è ancora possibile? - come Albert Einstein: “Di quando in quando, ora mi ritiro per qualche settimana nella casa d’una tenuta di campagna, tutto solo, cucinandomi quel che mi occorre, come gli eremiti dell’antichità. Così noto con sorpresa quanto è lungo un giorno e quanto vano, perlopiù, l’affaccendarsi alacre e odioso che riempie il nostro tempo”.