Ci sono date più o meno festive sul calendario, cui è legittimo dare o non dare importanza a seconda delle proprie scelte. Alle cosiddette ”feste comandate”, che sono per il cattolicesimo solennità in cui vige l’obbligo di assistere alla messa e di astenersi dai lavori manuali, ormai si sommano molte occasioni. Qualcuno dirà che sono persino troppe, ma in effetti siamo liberi di scegliere le festività che preferiamo e di scansare le altre. Oggi, per esempio, è la Festa del Papà, strettamente legata alla figura di San Giuseppe, che per l'appunto dal 1479 si ricorda ogni 19 marzo del calendario gregoriano. Si tratta dunque di qualcosa di molto datato, a differenza - lo dico senza sessismo… - della Festa della Mamma. Ebbene, so che qualcosa si sta muovendo e mi è giunta all’orecchio di una probabile partita di calcio quest’oggi fra padri e figli, che già fa tremare i miei menischi. Aspetto con curiosità e posso sempre mettere a disposizione l’esperienza dell’età per sedere…in panchina come assai improbabile coach. Queste feste “familiari” ogni tanto creano problemi ai cultori del politicamente corretto, la cui applicazione fattuale spesso genera mostri, perché si sa dove si comincia e non si sa dove si arriva nelle sue estremizzazioni. Ne scriveva, giorni fa, sulla sua rubrica sul Corriere Massimo Gramellini: “La preside di una scuola elementare di Viareggio ha cancellato la Festa del Papà per non discriminare i bambini privi di papà. Il movente è nobile, l’esito rovesciato: per non far soffrire i bambini senza padre si fanno soffrire quelli che volevano trascorrere qualche ora in classe con i padri. Si obietterà che la sofferenza dei secondi non è paragonabile a quella dei primi. Però, a forza di eliminare ogni cosa che possa anche solo lontanamente far soffrire qualcuno, si finisce per far soffrire un po’ tutti, e per non lasciare in piedi più nulla. Nessuna festa, opera d’arte, memoria storica. Mi spaventa chi pretende di applicare alla vita quel principio di unanimità che ha ridotto all’immobilismo le istituzioni”. Già certe discussioni sul bene e il male portano alla paralisi e certe cose scompaiono dalle nostre vite nel nome di un principio che non si è ben capito. L’eguaglianza non è trattare tutti nello stesso modo, ma deve trattare in modo uguale situazioni uguali ed in modo diverso situazioni ragionevolmente diverse. Ancora Gramellini: “Il mondo è cambiato, dice la preside di Viareggio. Ma non è una buona ragione per sterilizzarlo, trasformandolo in un non-luogo privo di spigoli e sapori. La condizione umana è fin dall’infanzia una mescolanza di piaceri e sofferenze che andrebbe spiegata e accompagnata più che rimossa a colpi di divieti. Quando persi mia madre, la maestra strappò da tutti i sussidiari la pagina che parlava di mamme. Aveva agito per proteggermi, e ancora adesso la purezza delle sue intenzioni mi commuove, però la sofferenza mi aspettava comunque all’uscita da scuola, quando mi ritrovavo a essere l’unico senza una madre ad attenderlo. Un bimbo può partecipare alla Festa del Papà anche se non ha un papà: magari in compagnia di un altro adulto a cui vuole bene. Includere significa aggiungere, non abolire”. E invece, nella logica della non discriminazione, si creano situazioni artificiali e si cancellano date e situazioni, facendo più il male che il bene. Insomma: ci si mette poco, su di una specie di bilancia del buonsenso, a passare in poco tempo dal politicamente corretto al politicamente scorretto.