Capitano sensazioni improvvise, frutto di situazioni particolari che sono create dal caso. Talvolta sono soste nel cammino della nostra vita. Dire che sono bilanci è esagerato. Si potrebbe dire che è occasione per rivedere noi stessi per quello che siamo stati e per quello che siamo oggi e che - speriamo! - saremo. Semplicemente perché siamo il prodotto di tutto ciò che abbiamo vissuto e del mondo di persone con cui siamo cresciuti. Così è stato per me in queste ore, come se fossi stato investito da una macchina del tempo, che mi ha portato ad immergermi in certi ricordi come se fosse - la sparo grossa! - un esercizio di transfert cosi come richiesto nella psicoanalisi. Più semplicemente direi che è stato come riaprire un album di ricordi pieno di fotografie colorate. Ho raccontato tante volte del mio legame passato con la città d’Imperia, Riviera di Ponente. Mi mamma era di lì e dunque ogni estate, sin da quando avevo solo sei mesi più o meno sino ai vent’anni, il rito familiare era di lasciare la Valle d’Aosta con armi e bagagli e scendere in Liguria della Valle d’Aosta. Una specie di seconda vita per almeno tre mesi con papà che andava e veniva, perché non aveva come veterinario il tempo della mamma casalinga per restare in questa vacanza-villeggiatura. A Castelvecchio - diventato frazione di Imperia, dopo la soppressione del Comune nel 1923 - per tanti anni la nostra era una vita da clan attorno alle famiglie delle tre sorelle, mia mamma Brunilde, Floriana e Agostina con mariti e figli. La casa era quelle dei nonni: Emilio, uomo serio che portava il dolore di un enfant trouvé che conosceva persino chi fossero i suoi genitori naturali e Ines, marchigiana di Pergola assai saggia e sempre in movimento. La vita trascorreva nella pigrizia estiva fra spiaggia e la collina dell’entroterra, mentre crescevamo da bambini ad adolescenti fra cugini solo maschi sino a diventare adulti, perdendo quelle estati indimenticabili. In parte tutto iniziò a cambiare nel momento in cui le sorelle vendettero la casa di famiglia e ci ritrovammo in appartamenti senza più quella situazione che avevamo vissuto come famiglia allargata. Poi comincia a lavorare e pian piano ad avere la mia vita, di fatto non tornai più ad Imperia - se non in rari casi - per una scelta di distacco anche dalle compagnie con cui ero cresciuto, perdendone le tracce. Ora che ci penso meglio fu una scelta saggia, che oggi mi consente ricordi vividi non ingialliti di mille avventure e zingarate, vissute di corsa e che tornano alla mente con una freschezza intatta senza quel reducismo delle retrouvailles, come si chiamano quei momenti di incontro pieni di nostalgia dopo tanti anni di separazione. Mi sono trovato ad Imperia in queste ore per un impegno politico, arrivando in una serata dal cielo ancora dall’azzurro luminoso, in cui ho avuto poi qualche ora di tempo in parte di quei luoghi vissuti. Questo è avvenuto ad un mese dalla morte di mia mamma. Una morte che non lascia mai indifferenti e che in qualche modo, essendo morto papà alcuni anni fa, ti colpisce perché da lì in poi, con mio fratello Alberto, siamo diventati più soli ed è una consapevolezza che acquisisci al momento del distacco, cui di fatto non si è mai pronti. Il clima a due passi dalla spiaggia dell’infanzia era quello descritto da Enrico Ruggeri in una celebre canzone: “Il mare d’inverno è solo un film in bianco e nero visto alla TV”. Camminando in una serata ventosa sul molo della Marina di Porto Maurizio, ho vissuto in alcuni minuti un intenso flashback che mi ha riportato nel passato. Luoghi evocatori di quella parte della mia vita sono ritornati in superficie con un’emozione inattesa. Ho pensato in questa immersione pensosa a quanto sia stato fortunato ad avere questi ricordi che mi scaldano il cuore. Ciò conferma la necessità, per mai trasformarmi in un vuoto laudator temporis acti, di continuare ad accumulare nuovi ricordi.