L’attuale crisi politica in Valle d’Aosta, con le dimissioni del Presidente della Regione, è l’ennesima tappa di almeno un decennio di alleanze varie fatte e disfatte e appunto di Presidenti a rapida rotazione. In questo marasma - che addolora chiunque abbia a cuore l’Autonomia che prevede, come ricordo spesso, diritti e doveri - confesso anche la mia situazione più personale di vivo dispiacere. Non ci sono per questa situazione ricorrente di instabilità vincitori e vinti, perché chiunque faccia ed abbia fatto politica si trova catalogato in negativo, qualunque sia stato il proprio percorso personale e le cose fatte nel tempo. Non abbozzo una difesa che mi riguardi, pur ritenendo di sentirmi la coscienza a posto e non ho voglia neppure di mettermi a snocciolare colpe o torti altrui. Quando esiste una situazione caotica e a tratti imprevedibile, bisognerebbe trovare una strada di pacificazione alla ricerca di soluzioni. So che non è affatto facile. Io stesso ho vissuto, dentro la politica valdostana di cui mi occupo da tanti anni, momenti difficili e dolorosi, scoprendo - forse per una mia qualche ingenuità di fondo - quanto possa capitare alle tue spalle nel momento in cui occupi posti di responsabilità. Ci sono regole del gioco che non sono sempre fatte di sincerità e di lealtà. Chi entra in politica lo sa e non bisogna mai lamentarsi a posteriori della presenza di ostacoli e trappole, che finiscono per essere normalità e non patologia. Eppure, chiarito questo meccanismo, che è in fondo così umano e che fa dei comportamenti politici lo specchio della società con buona pace dei cittadini elettori che votano qualcuno per poi lamentarsene, esiste un livello più elevato a cui rifarsi quando necessario. Il piano politico, che nei ruoli elettivi si impasta con l’azione amministrativa, non è una costruzione democratica astrusa, ma ha delle fondamenta su cui tutto si regge. Certo da una parte ci sono quegli intangibili valori costituzionali di cui il nostro Statuto speciale fa parte come punto di riferimento, dall’altra però ci sono idee, valori, progetti che sono il patrimonio che dà profondità alla politica. Questo insieme è la parte più difficile, perché è definibile nella sua totalità come “la cultura politica”. È come uno zaino da portare sempre sulle spalle per non dimenticare, pieno di mille cose immateriali, in continuità - nel caso del mondo autonomista - con un fil rouge più antico di quanto si pensi. Io appartengo a questa cultura, ci credo profondamente e penso che per fortuna non sia solo un patrimonio del passato, ma resta un lievito madre che passi di generazione in generazione e la forza sta nell’aggiungere elementi che pongano il proprio pensiero in linea con il mondo in cui si vive e che cambia con inusitata rapidità. Volo troppo alto? Come conciliare tutto ciò con la violenza insita nelle dispute politiche, con le ambizioni personali che fremono, con le coltellate alle spalle e pure al petto? Se questi usi e costumi della politica agiscono nel vuoto culturale tutto ciò non porta da nessuna parte. Si resta spaesati e si perdono i punti di riferimento, scivolando in una sorta di campo minato che paralizza ogni buona intenzione. Ricordo il detto Homo omini lupus (l’uomo è lupo per l’altro lupo) e l’altro Bellum omnium contra omnes (guerra di tutti contro tutti): entrambi in latino usati da Hobbes, riprendendoli da tanti precedenti. Espressioni che fotografano la realtà, nel rischio di vivere nella rozzezza di una sorta di stato di natura e ciò avviene quando la politica perde la bussola della cultura politica. Per questo predico la reunification: non per motivi sentimentali ma politici.