Caro Babbo Natale, di recente sono stato da te in Lapponia e nell’occasione sei stato gentilissimo con il piccolo Alexis – che forse crede ancora in te più con intenti materialisti che con afflati favolistici – ho avuto la tentazione di lasciarti anch’io una letterina. Poi, avendo tu scorso con attenzione le innumerevoli richieste del pargolo dalla sua lettera autografa, ho capito che sul momento sarebbe stato inopportuno e anche maleducato farlo. Ma ora ho pensato di scriverti lo stesso, anche se la mia infanzia è largamente scaduta in prescrizione, ma visto che invecchiando si ridiventa un pochino bambini, allora conto sul tuo buon cuore e mi auguro eviterai di rimandare questo mio messaggio al mittente. Detto con franchezza: non credo di aver bisogno di tuoi regali. Qualche pacco con il mio nome lo vedo già accatastato sotto l’albero. Per cui inutile strafare e poi ho constatato a Rovaniemi che gli elfi producono solo giocattoli di cui con sincerità non so bene cosa ne farei. Quindi il mio regalo – perché uno lo chiedo – è immateriale e dunque non ha bisogno di pacchi con il fiocco. Sono molti anni che faccio politica e, anche se dovrei avere ormai la pellaccia dura e un certo quantitativo di cinismo, mantengo talvolta qualche sprazzo di ingenuità al limitare del candore. Credo che non sia male senza cadere in una patetica fanciullezza leopardiana. Eppure in questo dono incorporeo che mi permetto di chiedere esiste molto di concreto, anche se parrebbe un paradosso già il solo scriverlo. Vorrei – come la polvere di fata adoperata da Trilli di Robin Hood – che la concordia scendesse, sotto forma di una nevicata, sulla piccola Valle d’Aosta. Uso “concordia” perché mi piace, perché viene da cuore, e suona come “conformità d’intenti”. Cuori che in qualche maniera battono all’unisuono. Non so se anche tu usi, quando necessario, l’emoticon del cuore nello scambio dei messaggini. Ce ne sono di diversi, ma la foggia di base è sempre la medesima. Ti racconto una cosa. Su Rivista Studio compare questa storia interessante: “La Bbc ha provato a rispondere a una domanda molto semplice e molto difficile allo stesso tempo. Qual è l’origine del simbolo del cuore? La sua genesi è stata dibattuta a lungo, specialmente perché la sua forma, simile a quella della mela, presenta una somiglianza piuttosto vaga con l’organo anatomico; soprattutto, è difficile risalire al momento in cui l’icona è stata associata all’amore e in generale ai sentimenti. Presso gli antichi greci, ad esempio, era comune l’uso di simboli simili, basti osservare alcuni vasi ateniesi dell’Attico, ma come ha precisato lo storico dell’arte e accademico Peter Stewart, in quei casi si trattava di versioni astratte di una foglia d’edera, da collegare al dio del vino Dioniso. Le coppe sulle quali venivano dipinte venivano infatti utilizzate per bere durante i simposi. Escludendo qualsiasi legame tra icona greca e fertilità, il professore sostiene che la fortuna del cuore derivi dal suo profilo «esteticamente gradevole, facile da disegnare, che evoca cose reali, in parte organico in parte geometrico». La tradizione del simbolo potrebbe essere attribuita all’iconografia religiosa, ma la convenzione della devozione al Sacro Cuore di Gesù, dunque a Santa Margherita Maria Alacoque, risale “soltanto” al ‘600”. E ancora più avanti: “Più probabile è invece il legame con i semi delle carte da gioco, attestati per la prima volta nella Francia del XV secolo: Naomi Lebens del Courtheald Institute ne attribuisce la standardizzazione a un generale della guerra dei cent’anni, Étienne de Vignolles detto “La Hire”, colui che secondo la vulgata «avrebbe introdotto i quattro semi» e, nelle carte, è associato al fante di cuori. La studiosa puntualizza come «ogni simbolo avesse connotazioni differenti, legate alle classi sociali francesi; le picche erano simili alle punte delle lance usate in battaglia, rimandavano perciò ai membri dell’aristocrazia militare, mentre i fiori ricordavano i trifogli, legati ai contadini. I cuori erano invece associati al clero e ai suoi ideali di purezza, perciò hanno subito avuto una posizione preminente nella gerarchia». Anche in questo caso, tuttavia, è impossibile stabilire un nesso con l’accezione “sentimentale” dell’icona, specie «in un ambito, il gioco, dove le cose non sempre sono ciò che sembrano». Forse la spiegazione più plausibile è quella dello stimolo cerebrale teorizzata nel 2011 da Milton Glaser, ideatore del celebre logo I ♥ NY, che ne aveva spiegato la popolarità con il fatto che «per capirlo il cervello traduce tre elementi tra i quali il cuore rappresenta un’esperienza»”. Scusa, Babbo Natale, per questa lunga citazione. Al posto di concordia avrei potuto declinare dei sinonimi, che poi non sono proprio coincidenti, tipo amicizia, armonia, sintonia, compattezza, unione… Spero, comunque sia, di essere stato capito nelle mie buone intenzioni. Intanto Buon Natale, Babbo Natale!