Il tempo trascorre troppo in fretta: sono passati ormai vent’anni dalla celebrazione dell’Anno internazionale delle montagne. Lo scrivo non a caso l’11 dicembre, che da allora è diventata la giornata mondiale dedicata dalle Nazioni Unite alle Montagne (quest’anno dedicato alle donne) e che ho festeggiato più o meno ogni anno nel ricordo straordinario di quella esperienza, visto che ebbi l’onore di essere Presidente del Comitato italiano. Ero parlamentare europeo, reduce da anni a Montecitorio, dove avevo imbastito una gruppo parlamentare Amici della Montagna, che era una macchina da guerra che si batteva per ottenere risultati piccoli e grandi in favore delle popolazioni e dei territori della montagna. Per questo si sceglieva la Finanziaria o qualche legge in transito per presentare soluzioni a problemi concreti. Una lobby buona che attraversava l’intero arco costituzionale e collaborava con tutte le associazioni, compreso quel Club Alpino Italiano, che mi invitava ai congressi annuali e che ora - vedi come cambiano le cose - si offende perché scrivo che non riconosco più un sodalizio che scende nell’agone politico in Valle d’Aosta contro un progetto funiviario come le Cime Bianche, prima che se ne conoscano i contenuti e la fattibilità tecnica e economica. A difendere il CAI, senza che ne abbia bisogno, scende in campo - per capire che alleanze hanno scelto - il meglio della Sinistra estrema valdostana, quelli per il NO duro e puro per qualunque cosa. I vertici del CAI o sono ingenui o nella storica associazione, cui la Valle d’Aosta diede un contributo sin dalla sua nascita con grandi personalità significative e molti esponenti autonomisti illustri ne hanno fatto parte, sta avvenendo - come ho detto - un cambio di DNA. Non parlo di ambientalismo in senso generico, ma di una discesa in campo squisitamente politica inusuale per un’associazione che dovrebbe raccogliere tutti. La reazione piccata nei miei confronti, dimenticando che ho dedicato anni a favore della montagna e far finta di niente sulle alleanze locali ora benedette dalla sede centrale, è ridicola e ingiustificata e merita forse un esame di coscienza e un confronto con le forze politiche locali che governano la Regione e non con i soli protestatari di professione all’opposizione. Questione di sostanza e non di forma. Solo dal dialogo possono nascere, come dimostra il caso della vicina Svizzera proprio con lo sviluppo del turismo alpino, impianti di risalita compresi, scelte condivise a vantaggio dello sviluppo e di una montagna abitata. Il resto è cascame ideologico, cui si contrappone e credo vada fatto - anche con il CAI - un dialogo fattivo e non solo su Cime Bianche. Fatemi tornare al 2002 e a ricordi straordinari alla scoperta della ricchezza delle diverse montagne italiane con Bruxelles, come centro nevralgico per confrontare quelle europee con la lotta, infine riuscita, di inserire i territori montani nei Trattati europei e non fu semplice. E poi, per me, due visite simbolo. La prima in Kirghizistan, il Paese che domandò alle Nazioni Unite l’indizione dell’Anno internazionale sulle tracce del geografo valdostano Jules Brocherel, che ne scrisse, essendo fra i primi scopritori assieme a quel personaggio che fu il Principe Borghese. E poi Quito, la capitale dell’Ecuador, per parlare delle montagne dei Paesi più poveri, cui noi popoli alpino dobbiamo proporre una cooperazione allo sviluppo degna di questo nome. All’epoca ci abitava Eloise Barbieri, alla quale chiesi se esistessero problemi d’insicurezza. Lessi la sua risposta al rientro e mi scriveva di non girare la sera e la notte per rischi di aggressioni. Con Enrico Borghi, al tempo Presidente Uncem, scorrazzammo inconsci del pericolo e a dir la verità vedevamo che gruppetti che ci guardavano come fossimo stati dei marziani. Periodi indimenticabili della mia vita con il destino della montagna nel cuore. Impegno che mantengo ancora oggi capitanando la questione per la Conferenza delle Regioni.