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02 dic 2022

Perché non piace il POS?

di Luciano Caveri

Condoni e sanatorie, tranne rari casi, sono sterco del diavolo. Nel senso che servono come se fosse denaro per comprarsi i favori di pezzi di elettorato. Il caso di Ischia è così tragico da non avere bisogno di troppe parole. La cosiddetta “pace fiscale” serve per fare l’occhiolino a chi non ha fatto il proprio dovere di contribuente. Ha scritto Sergio Ricossa: “In fatto di morale, il fisco è due volte peccatore: quando fa pagare tributi ingiusti, e quando concede sanatorie, amnstie e condoni agli evasori”. Interessante dal punto di vista psicologico è il favore degli attuali governanti verso il denaro contante e i dubbi verso l’uso della moneta elettronica. Si tratta di una scelta anacronistica e che certo piace a chi fa il “nero” nelle transazioni economiche e deve usare quel denaro, per così dire “spacciandolo”. Sul Foglio fa sorridere l’arguzia di Saverio Raimondo, che usa l’antica ma sempre valida tecnica dello sfottò: “Giorgia Meloni deve essere di quelle (pardon, quelli: è il Presidente) che si dimenticano sempre il pin del proprio bancomat, con conseguenti rossori e sudori freddi: altrimenti non si spiega questa guerra al Pos e ai pagamenti elettronici. Sembra dettata da un odio personale, un capriccio, visto che non c’è alcuna ragione al mondo per essere contrari a una transazione economica elettronica”. È più avanti scherza: “Forse alla base c’è un trauma, come in “Marnie” di Alfred Hitchcock: in passato deve essere successo che Giorgia Meloni in un negozio è andata per pagare con il bancomat, e il Pos le ha detto “transazione negata”. (Parafrasando Woody Allen: le parole più brutte al mondo non sono “ti odio”, e nemmeno “è maligno”, ma “credito insufficiente”). Possiamo immaginare l’imbarazzo, la vergogna, l’umiliazione che avrà provato Giorgia Meloni, sempre così indipendente, tutta d’un pezzo, nel fare la figura della povera – i tanto odiati poveri! – proprio di fronte a un piccolo commerciante, sua base elettorale. Con il peso dello sguardo giudicante altrui addosso, sentendosi assediata più che dai giornalisti, Giorgia Meloni avrà assicurato il commerciante che i soldi sul suo conto ci sono – detestando la balbuzie che improvvisamente avrà increspato il suo eloquio e il rossore che ne avvampava le guance tradendone le fragilità – e avrà chiesto di riprovare, ma niente: seconda transazione negata. La vergogna si sarà trasformata in rabbia, la rabbia in sproloqui contro i poteri forti. Avrà chiesto dov’era il bancomat più vicino, sarà uscita sotto la pioggia, e una volta trovata una banca e aver letto sullo schermo “sportello fuori servizio” avrà imprecato contro Soros. Da lì il trauma, che oggi finisce in manovra finanziaria”. Una risata talvolta fa più effetto di tante concioni. Anche a me capita di farlo per non prendersi troppo sul serio e per non prendere troppo sul serio gli altri. Poi il giornalista si fa un pochino più serio: “Si tratta del primo, vero passo falso di Giorgia Meloni; un passo che l’allontana da quella gente alla quale lei dice di appartenere, che si vanta di rappresentare. Il bancomat ha svoltato le nostre vite comuni proprio nei micro-pagamenti, perché ha debellato il resto in ramini. Chi le vuole tutte quelle monetine che adesso torneranno a infestare le nostre tasche, a sfondare i nostri portafogli? Sono inutilizzabili, persino le macchinette le sputano via. Vuoi innalzare il tetto al contante? Allora però alza anche il pavimento, io le monetine da 1, 2 o 5 centesimi non le voglio! Mi è chiaro che il ragionamento di Meloni è macro-economico: togliere l’obbligo del Pos è un bonus alla piccola evasione, per rilanciarne i consumi e l’impresa. Il problema è che questa manovra garantisce alla piccola evasione il mantenimento dello status quo, ma non gli dà gli strumenti per crescere e fare un reale scatto economico e sociale. Il governo dovrebbe attuare politiche ben più strutturali per aiutare i piccoli evasori a diventare grandi evasori – che è la vera disuguaglianza, il vero divario economico che affligge questo paese”.