Questa bella storia di Papa Francesco che torna in Piemonte da Pontefice, pranzando nella casa della cugina ad affermare le radici della famiglia Bergoglio, fa pensare. Esattamente come la sua ammissione del piemontese lingua madre appreso dalla nonna, ricordando ancora canzoni e filastrocche e usandolo coi parenti. Il nonno del Papa emigrò in Argentina (e la nonna dall’Alessandrino) e lui torna - non per la prima volta, ma questa volta dall’alto del soglio pontificio - a Portacomaro nell’Astigiano dei Bergoglio per un pasto di famiglia, ovviamente alla piemontese. Anche tanti valdostani sono finiti laggiù. Ricordo un viaggio del Senatore César Dujany in Argentina con un delegazione parlamentare e si mise a guardare un elenco telefonico, scoprendo un mare di cognomi indubitabilmente valdostani e ben più scientifica fu la scoperta della valdostana Alessandra Tognonato, che fu console a Buenos Aires, che appurò da documenti quanti fossero i valdostani, catalogati come piemontesi per ovvie ragioni. In una scheda del Museo italiano dell’Emigrazione si legge: “L'emigrazione valdostana nasce dalla mobilità stagionale, tradizionale dell'arco alpino, e dalla prossimità con la Francia e la Svizzera, nonché dall'esistenza di una costante comunicazione con l'area germanica. Nel Trecento i mercanti di stoffe si spostavano d'inverno sul lago di Costanza e la Baviera; nel Settecento arrivavano sino all'Austria - Ungheria. Dal Cinquecento muratori, carpentieri e tagliapietre lavoravano d'estate in Francia e nel Piemonte, attratti in particolare da Marsiglia e Torino. Infine il commercio di bestiame, tipica attività locale, comportava spostamenti in tutte le aree limitrofe. L'emigrazione post-unitaria si innestò su questa mobilità a breve e medio raggio e acquistò caratteri internazionali perché alcune aree, come Nizza e la Savoia, non facevano più parte del medesimo Stato". "Nei primi decenni dopo l'Unità gli spostamenti rimasero stagionali - si legge ancora - e contrassegnati dalla tendenza a tornare. Da fine Ottocento agli anni Trenta del ventesimo secolo l'emigrazione divenne definitiva, anche perché il governo fascista favorì l'espatrio di una popolazione ritenuta straniera in quanto francofona. Nello stesso periodo l'economia locale iniziò a sfruttare la risorsa turismo, preparando gli sviluppi successivi alla seconda guerra mondiale. Sino a quest'ultima, comunque, le partenze temporanee e definitive si divisero fra le abituali mete europee e quelle intercontinentali (Argentina e Brasile, Canada francese e Stati Uniti, Australia). Dopo la Seconda Guerra Mondiale l'esodo decrebbe e allo stesso tempo si orientò verso le fabbriche di Torino e della Svizzera. Quasi contemporaneamente l'industria turistica attrasse lavoratori, dal Veneto, dal Piemonte e dal Meridione, trasformando la Regione in area prevalentemente di accoglienza". Mi pare che si confondano i walser con il resto dei valdostani sulla parte germanica, ma la sintesi è interessante. Nel tempo - per quel che mi riguarda - ho scoperto, non so assolutamente di chissà quale ramo, un Caveri emigrato negli Stati Uniti, partendo da Le Havre in Normandia, mentre altri Caveri erano partiti dal porto di Genova (essendo originari della zona di Moneglia) proprio per andare in Argentina nella Terra del Fuoco (alcuni si sono poi trasferiti a Parigi, dove li ho conosciuti), mentre altri Caveri sono da tempo a Buenos Aires (il più famoso è stato l’architetto Claudio Caveri). Un mondo di persone alla ricerca della fortuna e Bergoglio l’ha trovata nella Fede sino ad arrivare in Vaticano.