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09 set 2022

Non perdere la scrittura manuale

di Luciano Caveri

Non ricordo esattamente quando io abbia cominciato ad adoperare la scrittura digitale. Probabilmente nella seconda metà degli anni Ottanta con un Macintosh regalatomi da Eddy Ottoz. Prima scrivevo a mano o adoperavo nella redazione Rai la macchina da scrive e già avevo trovato rivoluzionaria la macchina da scrivere Olivetti di cui eravamo dotati. Oggi scrivo con il computer o con il telefonino, ma non ho affatto abbandonato la scrittura tradizionale con cui annoto appunti e note con la mia grossa e imperfetta grafia, che ha una sua originalità. I miei collaboratori si sono sempre divertiti a vedere poche parole su di un post-it che mi bastano per sviluppare un lungo intervento orale. Un amico mi ha segnalato Dal Corriere uno stralcio dell’intervento « Scrittura a mano versus scrittura digitale: conflitto o integrazione?» del professor Roberto Travaglini dal primo numero di «Graphos, Rivista Internazionale di Pedagogia e didattica della scrittura», Edizioni Ets. L’interrogativo che ci si pone è “che cosa rappresenta oggigiorno lo scrivere a mano, in un tempo storico in cui la scrittura digitale sta assumendo globalmente un nuovo e diverso significato rispetto a quando gli strumenti tecnologici non consentivano altro se non l’uso della tecnica manuale di scrittura per la costruzione del linguaggio scritto”. E ancora : “Bisognerebbe chiedersi pure se si possa intravedere la possibilità di un’integrazione tra le due forme di scrittura, tra la scrittura manuale (che è materiale) e la scrittura digitale, quest’ultima costruita virtualmente con i nuovi mezzi tecnologici”. In attesa di leggere il libro nella sua interezza, annoto alcuni pensieri dell’autore: “La scrittura manuale è una tecnica sviluppatasi nel corso della storia dell’umanità talmente evoluta che non dovrebbe stupire l’idea secondo cui il suo naturale esercizio si ponga a fondamento di un sano sviluppo psicofisico dell’essere scrivente in un dato spazio-tempo sociale e culturale: l’apprendimento della scrittura è un processo che in genere comincia in un’età psicologica caratterizzata da una notevole plasticità cerebrale e mentale, e da una rapida e costante evoluzione psicofisica. (...) Se nella scrittura manuale troviamo al contempo elementi narrativi ed elementi metacomunicativi, nella scrittura digitale rimane vivo solo l’aspetto narrativo, comunicativo, esterno e oggettivo, perdendosi del tutto quello interiore, cinestetico-corporeo e non-verbale. Bisogna chiedersi quali conseguenze possa comportare l’avvento così massiccio e rapido di un globalizzato processo di crescente traslazione della scrittura dalla mano dell’individuo a quella, qui metaforicamente intesa, del mezzo digitale: la scrittura si spersonalizza, diventa uguale per tutti i fruitori del mezzo che la produce, si disincarna virtualizzandosi”. Prosa certo specialistica ma illuminante. Ma che fine farà quel tratto così intenso e personale che è la scrittura manuale? Traggo dal testo questa risposta: “Sui banchi scuola si può osservare che le scritture prodotte a mano vacillano, sono insicure, spesso incomprensibili; non presentano una sana, naturale e fluente espressione grafomotoria: anziché essere educate in modo adeguato fin dall’inizio, le scritture finiscono per rappresentare un grave handicap per il bambino che produce una scrittura non leggibile e disorganica, con cui fatica a comunicare e che dovrà poi essere ripensata grazie a un processo di prolungata e attenta cura rieducativa dell’intero assetto scrittorio. Come si chiede stupito Robert Oliveaux, «Sarà necessario rieducarla in continuazione, quando sarebbe invece così semplice educarla all’inizio?». Il contesto sociale certamente non facilita questo compito educativo, se è vero che raramente il bambino o il ragazzo ai giorni nostri sono indotti a scrivere manualmente nella vita quotidiana, laddove invece i nuovi mezzi di comunicazione sociale (per esempio, i social network) hanno senz’altro la meglio, esercitando una seduttività maggiore rispetto alla “sorpassata” e forse “anacronistica” scrittura manuale, ormai considerata dai giovani delle ultime generazioni una sorta di moda vintage, disprezzata o tutt’al più stimata come un oggetto di relativo o molto scarso interesse”. Naturalmente e condivido Travaglini milita per mantere la scrittura manuale, adoperando anche la “naturale attività ludica del bambino, che è puer ludens, come lo chiama Francesca Antonacci nella sua disamina sul gioco quale fondamento educativo dei processi di apprendimento nelle prime età della vita: l’azione grafico-scrittoria è una specifica espressione simbolica e narrativa che tende a «valorizzare la facoltà di entrare in relazione con le immagini del mondo, con la sua qualità simbolica e con la sua sostanza sognante per tornare a giocare»”. Tutto ciò - scrive il Professore - per “mantenere vivi i correlati dinamismi neurocognitivi, emotivi e pulsionali che sono alla base della sua naturale espressione: dinamismi soggettivi irrinunciabili dell’essere umano quali narrazione, fantasia, creatività, estro personale, lo sviluppo di particolari formae mentis e chissà quant’altro di misterico e non indagabile in questo modo possono continuare a prendere forma e a essere praticati con tutta la loro originale vitalità”.