Esiste la “pagina bianca” associata al cosiddetto "blocco dello scrittore", cioè alla paura di certi scrittori dinanzi alla pagina completamente vuota, quando devono cominciare a scrivere e non ci riescono in un blackout intellettuale e emotivo. Per carità, non voglio affatto comparare il mio quotidiano esercizio di scrittura - un cimento cui nessuno mi obbliga e dunque mi sono scelto - a chi scrive davvero pagine e pagine di vere opere letterarie. Il mio alla fine é una sorta di diario in cui annoto di tutto e la sfida di esserci ogni giorno mi smuove dal rischio della pigrizia e credo che serva a non arrugginire le mie rotelle e l’esercizio fa bene a tutte le età. Di questi tempi non é tanto facile farlo e, senza aver paura della pagina bianca che pure ovviamente si riempie bene o male secondo gli argomenti e gli umori (non tutte le ciambelle riescono con il buco…), ci sono giorni in cui ho anche io nel mio piccolo una specie di blocco. Non sono le preoccupazioni o i problemi che la vita ti pone di fronte, che certo influenzano anche gli scritti, la scelta dei temi e pure la scrittura, quanto un clima generale che ci avvolge tutti e che crea apprensioni e impone purtroppo chiodi fissi che ci riguardano come singoli e come componenti - uso un parolone - della società. Ho il privilegio, come politico chiamato anche a fare l’amministratore e viceversa, di avere un luogo di osservazione particolare, incontrando ogni giorno molta gente e dunque i loro pensieri incidono sui miei e non sempre a titolo di consolazione. Il mio compito, nelle deleghe che ho nel mio lavoro e che spaziano in diversi settori, è di dovere in sostanza risolvere questioni impellenti e, quando riesco, a progettare cose nuove, sorvegliando assieme l’ordinarietà della mia azione di governo e di quella degli altri, visto la logica collegiale di molte decisioni. Tutto diventa più difficile quando il contesto generale, come di questi tempi, è avvelenato dalle molte preoccupazioni - di cui vi risparmio l’ennesimo elenco, avendone tutti contezza - che rallentano le nostre vite e non colorano di rosa i nostri orizzonti. Odio il pessimismo che serve solo a porsi in una posizione di partenza sfavorevole e agitano le nostre notti di fantasmi che si ingigantiscono. Ha scritto Francesco Alberoni: “Il pessimista ha uno straordinario potere di contagio. Talvolta basta incontrarlo al mattino, per strada, e, in poco tempo, vi trasmette tutta la sua negatività e la sua passività. Ci riesce sfruttando alcune tendenze presenti in tutti noi e che non aspettano altro che di essere svegliate e potenziate”. Già, è proprio così. Esiste e in parte lo constato con una rischio di contagio, parola che purtroppo in questi anni ci accompagnato con la sua alea non certo favorevole e che ci ha messo su un continuo chi vive e questa situazione non ci ha aiutati di certo. Così ogni tanto la pagina bianca si tinge anche per me di scuro e francamente mi preoccupo, perché il rischio della cupezza, che ti rende il mondo in bianco e nero, non ha mai fatto parte del mio carattere. Anzi, sono sempre stato solidale e vicino a chi vedeva la vita con il freno a mano tirato, che fosse un passaggio sfortunato o peggio una malattia che incide. E sappiamo bene come - lo dicono quelli che curano le malattie della mente e dell’anima - che molti malesseri e tanti mali di vivere prosperano quando il quadro generale preoccupa e pesa sulle nostre esistenze. Allora troviamo una leva e penso nella sua secchezza a quanto scrisse chi seppe governare periodi terribili, come il bizzarro Winston Churchill: “Il pessimista vede difficoltà in ogni opportunità. L’ottimista vede opportunità in ogni difficoltà”.