Durante la pandemia, con propria legge regionale, la Valle d’Aosta cercò, senza alcuna forzatura, di immaginare meccanismi per regolamentare in modo adatto al proprio territorio e alla propria popolazione le misure nazionali contro il virus e la sua diffusione. Il Governo, per presunta incostituzionalità di parecchi articoli, decise di impugnare il provvedimento alla Corte Costituzionale. L’allora Ministro Francesco Boccia, l’esponente PD ancora oggi vicino ai 5 Stelle, nel suo ruolo di responsabile degli Affari regionali, fu protagonista di una vicenda singolare. Poiché aveva bisogno del voto al Senato per dar vita ad un Conte ter annunciò al senatore valdostano Albert Lanièce di essere pronto a ritirare il ricorso alla Consulta se avesse appoggiato il nascente Governo. Poi, per fortuna, spuntò Draghi, ma purtroppo il Governo mantenne l’impugnativa e la Corte Costituzionale di fatto bocciò la legge regionale valdostana. In sostanza la ragione principale fu semplice: di fronte ad una pandemia decidere tocca allo Stato con un cipiglio anti regionalista che personalmente mi colpì molto. Perché rievoco questa vicenda certo lesiva di un’autonomia speciale come quella valdostana? Per una ragione semplice e cioè mi spaventa molto che analogo percorso si farà, senza tenere conto banalmente del nostro territorio di montagna e delle sue caratteristiche umane e sociali, nell’insieme delle decisioni che si assumeranno per contrastare le certe carenze di gas e di energia elettrica. L’austerità arriverà e il quotidiano mio ascolto delle radio francesi dimostra che in Francia si è già avanti, mentre in Italia si nicchia perché siamo in periodo elettorale e le cattive notizie non vanno bene. Sarebbe, invece, tempo di avere un quadro chiaro in Europa e anche in Italia e in questo contesto dovrebbero essere chiamati le Regioni e gli Enti locali a modulare, ad armonizzare le norme di livello statale e comunitario alle proprie particolari condizioni, evitando di far calare dall’alto decisioni che non risultino adatte in contesti diversi fra loro. Dubito fortemente che questo avverrà perché il rispetto della democrazia locale sembra allontanarsi sempre di più e il centralismo sembra plasmare questa stagione politica e i segnali all’orizzonte non promettono nulla di buono. Non è un allarmismo sterile e neppure strumentale, ma la constatazione che a più di vent’anni da una riforma costituzionale al limitare del federalismo (più verbale che reale) con l’utilizzo di un termine alla moda - vale a dire sussidiarietà - si sono registrati passi indietro da giganti. Questo non va bene per molte ragioni e il tema delle autonomie in senso più vasto possibile non esiste nel dibattito nazionale e questo è già di per sé stesso segno dei tempi grami. Si preferiscono urla, strepiti, insulti e bassezze, che avranno un esito certo su cui già oggi sono pronto a scommettere. Si tratta del probabile debordare e me ne dolgo dell’esercito già enorme degli astensionisti, che rinunciano e fanno male ad un loro diritto, ma va anche compreso quando questo è frutto dell’impazzimento della politica che alimenta il fenomeno con clamorosa nonchalance.