Non ci voleva molto a capire che la riduzione drastica dei parlamentari con il ridisegno dei collegi e delle circoscrizioni elettorali avrà, come una delle conseguenze nefaste per la democrazia, un venir meno importante di eletti rappresentativi delle zone di montagna. Il Parlamento italiano diventerà ancora più “cittadino” e di pianura e le voci delle aree considerate purtroppo più marginali si faranno più flebili in barba a tutta la retorica sulla montagna. E’ vero che per la Valle d’Aosta, protetti come siamo dallo Statuto che ci assegna un deputato e un senatore, nulla cambia (anzi si conta leggermente di più!) e che una vocazione naturale – non sempre esercitata da chi eletto in passato – dovrebbe essere quella di sentirsi portavoce delle Montagne in senso più ampio rispetto alle nostre. Tuttavia si ridurrà al lumicino quel nucleo storico di “Amici della Montagna”, che personalmente trasformai, quando ero alla Camera, da una specie di sottosezione del Club Alpino (associazione ormai alleata con il peggio dell’ambientalismo) in una lobby buona che, specie in epoca di Finanziaria, riusciva a strappare ogni volta qualche cosa di positivo per la montagna. Spiace davvero questa diminutio nel numero dei “montanari” e dimostra quanto il populismo e la demagogia che spinsero alla riduzione nel nome dell’antipolitica e della lotta alla “Casta” abbiano fatto dei danni e continua ancora questa loro musica stonata in una campagna elettorale in cui emergono purtroppo quelli che la sparano più grossa. E colpisce il fatto che del futuro delle montagne, nella loro diversità in un territorio come quello italiano, non abbiano uno spazio, occupato invece da liti da cortile, se non da pollaio. E invece – basti pensare alla discussione sulla nuova legge sulla montagna, naufragata contro lo scioglimento anticipato delle Camere – ci sono aspetti legislativi a tutela e per il rilancio delle Terre Alte che sarebbero necessarie. Con la Ministra delle Regioni Maria Stella Gelmini ho avuto incontri abbastanza burrascosi sull’insieme di norme che il Governo aveva studiato in maniera del tutto unilaterale, mettendo assieme articoli vari in una specie di accozzaglia senza anima. Era stato necessario, nel mio ruolo di coordinatore della montagna per le Regioni e le Province autonome, fare un lavoro di pulizia ed evocare poteri e competenze delle Regioni finite sotto lo schiacciasassi di chi evidentemente della montagna sapeva poco. Sforzo che aveva sortito un testo “meglio che niente”, finito appunto nelle carte del Parlamento, ma decaduto con la fine della Legislatura. A fine settembre riunirò ad Aosta tutti gli Assessori regionali che hanno la delega sulla montagna per poter ripartire con il piede giusto per il futuro, cogliendo l’occasione per evocare con loro quelle misure comuni che dobbiamo assumere come conseguenze del cambiamento climatico. Questione delicata e difficile, ma che prevede anche in questo caso la definizione di un idem sentire, che per fortuna – come avvenuto con la discussione sulla legge della Gelmini – non terrà conto delle sole posizioni politiche ma dei superiori interessi concreti di chi anzitutto la montagna la vive.