Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
08 ago 2022

Scherzare sull’aperitivo

di Luciano Caveri

Un popolo con una così grande varietà di aperitivi come il nostro non può morire di fame.
(Marcello Marchesi) Siamo sempre abituati a parlare di parole “importanti”, ma poi nell’uso comune ce ne sono alcune semplici che prosperano nei nostri discorsi e anzi - impressioni di vita vissuta - hanno avuto nel tempo un crescente ruolo sociale. “Aperitivo”, appunto! Il dizionario questa volta più che aiutare complica, almeno in apparenza. La parole viene dal latino medievale, aperitivus «che apre le vie per l’eliminazione», derivazione di aperire «aprire». Quindi come aggettivo sarebbe “adatto ad agevolare le secrezioni gastriche, stomachico: erbe aperitive; radici aperitive; un decottino dolcificante e aperitivo gioverebbe molto (Vallisneri). Con quest’accezione, furono in uso anche le varianti apertivo e apritivo”. Storia morta e sepolta, dunque come storia più recente il sostantivo: ”Bevanda alcolica, generalmente a base di vini invecchiati, vermut, o di amari vegetali (china, rabarbaro, carciofo, ecc.), che ha effetto di stimolare l’appetito o, talora, anche di favorire la digestione: prendere l’aperitivo o un aperitivo; offrire un aperitivo”. E ancora: “Nell’uso, il nome è esteso anche ad alcune bevande (in particolarmente gli amari o bitter) scarsamente alcoliche o analcoliche”. Si avverte come la definizione sia datata, perché oggi sono o cocktail e le “bolle” a fare da padroni nei nostri aperitivi, che assumono una valenza festosa e collettiva, declinando verso il vivace “apericena”. Scavando ancora di più si scopre — sarà vero? - che nel IV secolo a.C. il medico greco Ippocrate scoprì che, per alleviare i disturbi di inappetenza dei suoi pazienti, bastava somministrare loro una bevanda dal sapore piuttosto amaro, a base di vino bianco, fiori di dittamo, assenzio e ruta, e che a quanto pare aveva incredibili effetti benefici. Poi ogni epoca ha aggiunto il suo. A Torino nel 1786 Antonio Benedetto Carpano diede vita a quella che divenne poi la bevanda da aperitivo per eccellenza: il Vermouth, un delizioso vino aromatizzato con china, che di lì a poco avrebbe conquistato l’allora re d’Italia Vittorio Emanuele II. Fu proprio quest’ultimo, infatti, a nominare il Vermouth con China Carpano, ribattezzato poi Punt e Mes (per quel suo “punto e mezzo” di amaro in più), l’aperitivo Ufficiale di Corte, come bicchierino da bere prima di mettersi a tavola, Sempre in Piemonte, i produttori di vino Martini e Rossi creano poi il Martini Bianco (un Vermouth a base di Moscato ed erbe aromatiche lasciate a macerare). A Milano, invece, Ausano Ramazzotti, un farmacista bolognese trasferito a Milano, creò il primo liquore da aperitivo non a base di vino. Si tratta dell’Amaro Ramazzotti, ricavato dalla macerazione e infusione della combinazione di ben 33 erbe, radici e spezie. Ma non è finita qui, perché non possiamo parlare di aperitivo senza nominare il famosissimo Campari. Gaspari Campari acquistò a Novara, in Piemonte, un caffè, dove mise a punto la ricetta segreta del bitter, chiamato così per via del gusto particolarmente amaro (in tedesco la parola bitter significa appunto ‘amaro’). Ma poi trasferì il suo locale nella città meneghina, nella Galleria Vittorio Emanuele II all’angolo con Piazza Duomo, e iniziò a proporre il suo liquore prima dei pasti anziché dopo, come digestivo. Inutile dire che il successo fu immediato e da lì nasce la storia del Bitter Campari. Oggi, finito l’happy hour alla milanese, siamo alla “liberi tutti” attorno al già citato ‘apericena’, in cui l’aperitivo si trasforma in un vero e proprio sostituto della cena con una durata che supera di gran lunga quella originaria. Dal passato remoto al presente un abisso.