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27 lug 2022

Leggerezza e pesantezza

di Luciano Caveri

«Leggerezza, leggerezza!». L'altro giorno sono stato rimproverato così in un contesto familiare. E trovo che sia giusto un ammonimento di questo genere. Il periodo in generale è difficile e si riverbera in qualche modo sul nostro stato d'animo, per non dire - perché spaventa - sul nostro equilibrio mentale. Credo che capiti a tutti - complice anche la canicola - di svegliarsi la notte, quando i pensieri diventano fantasmi inquietanti che si ingigantiscono, come avviene con i tre fantasmi che appaiono nello "Spirito del Natale" di Charles Dickens a Jacob Scrooge, ricordandogli i suoi errori. C'è una bella frase: «Prendete la vita con leggerezza, ché leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall'alto, non avere macigni sul cuore». Una frase che è attribuita a Italo Calvino, ma in realtà è stata scritta nel 2007 da Mattea Rolfo, scrittrice e blogger. Tuttavia – attenzione! – della leggerezza in realtà Calvino si è occupato sino in fondo. Lo ha fatto nel libro "Lezioni americane", pubblicato per la prima volta nel 1988. Calvino, in una fase matura della sua carriera, ci invita a vivere la vita con leggerezza d'animo e la frase, pur non sua, ne riassume il pensiero. Era in realtà il 1985 quando l'Università di Harvard, in Massachusetts, si preparava a ospitare lo scrittore italiano Italo Calvino all'interno del progetto "Poetry Lectures", un ciclo di lezioni intitolate ad un noto storico dell'arte e studioso di Dante di nome Charles Eliot Norton. Erano sei le proposte per il prossimo millennio - quello in cui ora ci siamo - e vennero preparate da Calvino con grande attenzione. E oltre a leggerezza figuravano: rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità. Proposte che non vennero mai enunciate dal vivo ma finirono nel libro postumo, perché l'autore si spense il 19 settembre dello stesso anno, prima degli incontri previsti nel corso dell'autunno successivo. Al centro dei pensieri c'era la letteratura come sfida per elevarsi rispetto alla pesantezza della realtà. La leggerezza andrebbe trovata, osservava Calvino, «nella narrazione d'un ragionamento o d'un processo psicologico in cui agiscono elementi sottili e impercettibili, o qualunque descrizione che comporti un alto grado d'astrazione», così come «nelle invenzioni letterarie che s'impongono alla memoria per la loro suggestione verbale più che per le parole» che sono state utilizzate. E aggiungeva: «Nei momenti in cui il regno dell'umano mi sembra condannato alla pesantezza, penso che dovrei volare come Perseo in un altro spazio. Non sto parlando di fughe nel sogno o nell'irrazionale. Voglio dire che devo cambiare il mio approccio, devo guardare il mondo con un'altra ottica, un'altra logica, altri metodi di conoscenza e di verifica. Le immagini di leggerezza che io cerco non devono lasciarsi dissolvere come sogni dalla realtà del presente e del futuro». E poi ancora: «Se volessi scegliere un simbolo augurale per l'affacciarsi al nuovo millennio, sceglierei questo: l'agile salto improvviso del poeta-filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte, come un cimitero d'automobili arrugginite». Infine una giusta sottolineatura che evita l'effimero: «Esiste una leggerezza della pensosità, così come tutti sappiamo che esiste una leggerezza della frivolezza: anzi, la leggerezza pensosa può far apparire la frivolezza come pesante e opaca». Leonardo Sciascia in analoghi ragionamenti sposta l'orizzonte: «Si è così profondi, ormai, che non si vede più niente. A forza di andare in profondità, si è sprofondati. Soltanto l'intelligenza, l'intelligenza che è anche "leggerezza", che sa essere "leggera", può sperare di risalire alla superficialità, alla banalità». Mentre Milan Kundera lo complica: «Ma davvero la pesantezza è terribile e la leggerezza meravigliosa? Il fardello più pesante ci opprime, ci piega, ci schiaccia al suolo. Ma nella poesia d'amore di tutti i tempi la donna desidera essere gravata dal fardello del corpo dell'uomo. Il fardello più pesante è quindi allo stesso tempo l'immagine del più intenso compimento vitale. Quanto più il fardello è pesante, tanto più la nostra vita è vicina alla terra, tanto più è reale e autentica. Al contrario, l'assenza assoluta di un fardello fa sì che l'uomo diventi più leggero dell'aria, prenda il volo verso l'alto, si allontani dalla terra, dall'essere terreno, diventi solo a metà reale e i suoi movimenti siano tanto liberi quanto privi di significato. Che cosa dobbiamo scegliere allora? La pesantezza o la leggerezza?». Forse si può coltivare un giusto mezzo.