Il "tam tam" fa impressione ed obbliga a porsi degli interrogativi su di un'evoluzione sociale come fenomeno sociologico vero e proprio. Vai al bar o il ristorante e ti dicono «non trovo personale». Lo stesso vale per il mondo dell'agricoltura con minaccia di arresto di attività, come la monticazione in alpeggio. Parli con industriali ed artigiani e sono all'unisono a lamentarsi della mancanza di giovani che si avvicinino ai settori. Persino i concorsi pubblici, un tempo in Valle d'Aosta partecipatissimi, oggi vedono scarse presenze e sono parecchi quelli che dopo aver vinto non accettano l'assunzione. Capita, infatti, nel pubblico e nel privato, che i datori di lavoro si trovino di fronte a possibili dipendenti che non solo chiedono particolari minuti sul contratto e ci starebbe pure, se non fosse che il confronto diventa assillante su lavoro nel fine settimana, la sera e sulle vacanze.
Non è un problema solo locale, ma è un fenomeno nazionale e europeo. Sentivo sulla radio francese lamentazioni e preoccupazioni del tutto analoghe a quelle presenti di noi. Questo vale - vorrei precisare - sia per i lavoratori a tempo indeterminato, che quelli a tempo determinato e vale per quel mondo importate sotto l'etichetta "stagionali". Su questo tipo di lavoratori, ma vale anche per gli altri, quanto ha scritto "IlPost": "Questa situazione è il risultato di cause diverse e complesse, alcune strutturali e altre legate alla pandemia. C'entrano i problemi storici del mercato del lavoro italiano, in primo luogo la precarietà e il nero, della concorrenza di altri settori che offrono posti di lavoro più stabili e stipendi più alti, ma anche alcune condizioni dovute alle trasformazioni nelle abitudini nell'ultimo anno e mezzo, l'improvvisa ripresa seguita alle chiusure per limitare i contagi, oltre che i particolari effetti connessi alle misure di sostegno economico decise dal Governo nell'ultimo anno e mezzo". Poi una questione assai discussa: "Una delle ragioni più citate per spiegare la mancanza dei lavoratori stagionali è la possibile concorrenza del "Reddito di cittadinanza", che dissuaderebbe molte persone dall'accettare un lavoro. Il ministro del turismo, Massimo Garavaglia, ha detto che l'intervento dello Stato dovrebbe essere temporaneo, «perché se si dà l'idea che sia strutturale si distorce il mercato». Ma la vera riflessione, sottolineano in molti, dovrebbe piuttosto riguardare la qualità e la retribuzione di quei lavori eventualmente rifiutati per continuare a percepire sussidi che ammontano solitamente a qualche centinaio di euro al mese, una somma ben al di sotto di un salario minimo". Già, il salario minimo, che è tema di confronto ed è giusto parlarne ed è sicuramente meno divisivo come argomento del reddito di cittadinanza, che personalmente ritengo sia più un problema che una soluzione. Come lo è l'abuso possibile delle norme spesso troppo garantistiche. Ma esiste forse qualcosa di più profondo rispetto al lavoro. La pandemia ha aperto spazi familiari più importanti ed avvolgenti, ha cambiato l'elenco delle proprie priorità nella vita, sono calate certe passioni o ambizioni. Ci sono anche scelte di drastica discontinuità di chi ha lasciato il lavoro per inseguire nuovi percorsi. Tutte questioni da capire meglio. Ma intanto tra mancanza di manodopera e crisi demografica che verrà non sarà facile per l'economia.