Avevo personalmente gioito, avendola letto distrattamente, della notizia di una "Giornata della memoria" dedicata agli Alpini, decisa per legge. Mi sembrava, pur nel proliferare di giornate celebrative, una scelta azzeccata, pensando - anche per la nostra piccola Valle d'Aosta - all'affezione verso le truppe alpine per profonde ragioni storiche. E' vero, per essere onesti, che con la fine della leva obbligatoria per via dell'esercito professionale piano piano questo legame sarà destinato ad affievolirsi e il disimpegno progressivo - a vantaggio della parte Orientale delle Alpi - ha privato la Valle della tradizionale e massiccia presenza di alpini di un tempo. Tuttavia il valore simbolico aveva tutta la sua forza.
Il cuore della legge è nel suo primo articolo: "La Repubblica riconosce il giorno 26 gennaio di ciascun anno quale "Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini", al fine di conservare la memoria dell'eroismo dimostrato dal Corpo d'armata alpino nella battaglia di Nikolajewka durante la seconda guerra mondiale, nonché di promuovere i valori della difesa della sovranità e dell'interesse nazionale nonché dell'etica della partecipazione civile, della solidarietà e del volontariato, che gli alpini incarnano". Poi, piano piano e purtroppo tardivamente, è emersa a ragione una polemica sulla scelta della data. Lo ha ricordato la senatrice a vita Liliana Segre nella sua rubrica su "Oggi": «Lo scorso 5 aprile il Senato ha effettivamente approvato in via definitiva la proposta di legge per l'istituzione della "Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli alpini", prevedendo proprio quella data. Purtroppo ero assente a causa del covid, da cui nel frattempo sono guarita: nonostante la mia età, grazie alle tre dosi di vaccino, la malattia non è stata grave. Se fossi stata in aula, avrei chiesto la parola per appoggiare la Giornata degli Alpini, ma in una data diversa. Che sia onorata la memoria di questo Corpo del nostro esercito mi riempie infatti di soddisfazione. Ricordo ancora i canti degli Alpini, così malinconici e struggenti, che intonavamo a scuola. Sono nata nel 1930 e gli echi della Prima guerra mondiale erano ancora molto vivi, mio padre e mio zio erano stati ufficiali in quel conflitto e io sono cresciuta nel mito dei soldati con la piuma sul cappello. Inoltre, abbiamo visto anche oggi, con la pandemia, il loro impegno generoso nella campagna vaccinale. Proprio per questo contributo in tempo di pace e di guerra, per le loro tradizioni e la grande umanità, vogliamo tutti bene agli Alpini. Fanno parte dell'Italia migliore. E credo che individuare un giorno-simbolo diverso avrebbe reso un tributo ancora più giusto a questo corpo così speciale. Nella battaglia di Nikolaevka - combattuta tra le truppe sovietiche e le forze italiane e tedesche dell'Asse in caotico ripiegamento - l'estremo sacrificio degli Alpini fece sì che almeno una piccola parte della spedizione italiana, male armata ed equipaggiata, si salvasse dal massacro e rientrasse in patria. Ma non va dimenticato che fu un'impresa onorevole nel contesto di una guerra disonorevole voluta dal fascismo. Una guerra di invasione di uno Stato sovrano, che in quel caso era l'Urss, a sostegno del disegno nazista volto a sottomettere popoli considerati inferiori. Molti tra gli stessi alpini lo considerarono un conflitto ingiusto tanto che, dopo l'8 settembre 1943, non mancò chi si unì alla lotta partigiana. Perché dunque scegliere una data del genere? Si sarebbe potuto optare, ad esempio, per il giorno dell'istituzione del Corpo, oppure per una delle memorabili gesta nel Primo conflitto mondiale, o ancora per la ricorrenza di uno degli splendidi interventi di soccorso e Protezione civile in occasione di terremoti o altre emergenze. Tanto più oggi, mentre infuria vicinissimo a Nikolaevka la guerra causata dall'invasione russa dell'Ucraina, come si può celebrare un episodio, per quanto eroico, di un conflitto in cui l'Italia stessa è stata Paese aggressore? Con un ultimo, grave paradosso: onorare il 27 gennaio la memoria della Shoah, dopo avere celebrato il giorno prima un'impresa militare voluta da quello stesso nazifascismo che ha mandato a morte milioni di innocenti». Gli storici Francesco Filippi, Carlo Greppi ed Eric Gobetti hanno spiegato bene gli aspetti negativi di questa scelta loro articolo "La scelta degli alpini", pubblicato l'11 aprile 2022 sul sito "Patria Indipendente" dell'Anpi: «Visto anche il risalto che d'ora in poi, per legge, ricoprirà questa data nel calendario civile del Paese, è cruciale collocare storicamente l'episodio di Nikolajewka. In quella località, all'epoca parte dell'Unione Sovietica, nel gennaio 1943 gli alpini combattono per forzare il blocco dell'Armata rossa e permettere ai resti del Corpo d'armata alpino e alle residue unità tedesche di superare l'accerchiamento sovietico e ritirarsi. E' l'unica significativa vittoria sul campo nell'ambito di un'epocale sconfitta: la tragica epopea della ritirata di Russia in cui migliaia di alpini abbandonati e persi nel freddo, equipaggiati malamente, si battono tenacemente, con l'obiettivo di evitare la prigionia e tornare a casa. La prima domanda da porsi dovrebbe essere, in realtà, la più semplice: cosa ci facevano gli alpini insieme ai tedeschi nei pressi del confine russo-ucraino, a tremila chilometri da casa, nel freddo inverno del 1942-1943? Il contingente alpino faceva parte di un corpo di spedizione fortemente voluto da Mussolini nonostante i dubbi degli alti comandi tedeschi sull'adeguatezza logistica e tecnica del Regio esercito. L'Italia fascista non voleva perdere l'occasione di partecipare alla "crociata antibolscevica" scatenata da Hitler il 22 giugno del 1941 violando il patto con Stalin del 23 agosto 1939. L'Armata italiana in Russia sul fronte russo sarebbe arrivata a contare, in totale, ben 230.000 uomini». Ho letto tutti i libri su quanto avvenne in quella terribile ritirata, durante la quale venne decimato anche il celebre "Battaglione Cervino". Fu uno dei momenti più tragici da ascrivere alla dittatura fascista e quelle letture - penso a Mario Rigoni Stern, Nuto Revelli e Giulio Bedeschi - confermano l'errore nella scelta della data. Scrivono ancora gli storici: «La scelta del 26 gennaio, che potrebbe a prima vista sembrare semplicemente impropria, risulta in definitiva insultante, prima di tutto per gli alpini stessi. Qualunque Corpo militare di un Paese democratico dovrebbe inorridire all'idea di passare alla storia, celebrato dalla memoria pubblica, attraverso uno degli episodi più vergognosi della già spaventosa storia dei fascismi europei. Un corpo militare che, peraltro, ha dato poi alla Resistenza al nazifascismo alcune tra le figure più significative». In un passaggio del loro articolo gli storici propongono un'alternativa interessante: «Il 6 maggio, giorno del terribile terremoto in Friuli del 1976, sarebbe stata una data più nobile da legare alla memoria delle migliaia di alpini che "invasero" quella terra martoriata aiutandola a risollevarsi dalle proprie macerie, sacrificando tempo, energie e in alcuni casi anche la vita per una causa nobile». Mi sembra una possibilità da esplorare.