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04 apr 2022

La Foire d'aprile

di Luciano Caveri

No, non è un pesce d'Aprile, come potrebbe indicare la data odierna. Domani e dopodomani le strade del centro storico di Aosta ospiteranno davvero la "Foire de Saint Ours", la celebrazione senza eguali sulle Alpi dell'artigianato tipico con il suo seguito di altre espressioni della valdostanità. Così è stato deciso attraverso questo spostamento dal 30 e 31 gennaio, date canoniche, per non buttare via anche questa edizione a causa della pandemia, che per fortuna sembra attenuarsi, consentendo momenti di aggregazione popolare. Anzi, per essere precisi, proprio in queste ore si è usciti dallo stato di emergenza dopo tanto tempo e dunque le misure di restrizione principali si sono ridotte e cesseranno definitivamente nelle settimane a venire. Il che non vuol dire affatto far venire la prudenza necessaria in un bagno di folla come quello che si prevede in Fiera.

Sant'Orso dalla sua cabina di regia celeste, che alla fine è quella che conta rispetto alle nostre miserie umane, ha approvato che la "Foire" a lui dedicata si svolgesse in primavera. Certo ha scelto uno sberleffo: malgrado la primavera sia ormai avviata ha previsto qualche fiocco di neve in prossimità per poi far tornare il sole. Sole indispensabile in ossequio al celebre detto, che immagino valga anche con la Fiera in altra data. «Se feit cllier lo dzor de sèn-t-Or, l'or baille lo tor et dor euncò pe quarenta dzor», che in in italiano suona «Se fa bello il giorno di Sant'Orso, l'orso gira il suo pagliericcio (lo fa asciugare) e dorme per quaranta giorni ancora». Ciò significa che la primavera è destinata a tardare per altri quaranta giorni. Confermo, tra parentesi, che ci vorrebbe un antropologo se non uno psicoanalista per capire come Orso diventi un orso nel proverbio! Anni fa, quando ero tornato al mio mestiere di giornalista "Rai" in pausa dalla politica, avevo invitato in una trasmissione radio il mio amico storico, Joseph-Gabriel Rivolin, che mi ha lasciò un testo sulla "Fiera", che illumina la scena sul fatto che la nascita di elementi che contribuiscono al fondamento identitario dei valdostani, come di qualunque popolo, esistono invenzioni, miti che sono in qualche modo un collante utile alla bisogna. Rivolin, con affetto e rispetto per la "Fiera", smonta - documenti alla mano - la datazione "millenaria", che serve al conteggio delle edizioni che si susseguono. Per cui, sin dall'inizio, lo studioso spiega per poi argomentare: «L'an mille, traditionnellement indiqué comme date de naissance de la "Foire de Saint-Ours", est bien sûr symbolique». In effetti il mio amico Joseph usa i documenti, compreso - per una datazione successiva alla tradizione - «un chapiteau du cloître de la Collégiale, qui représente le saint patron distribuant des chaussures aux pauvres» che ci fa supporre che la "Fiera", con la presenza di artigiani che fabbricassero sabot in legno o "socques", potesse essere già esistente verso la metà del dodicesimo secolo. Ma, qualche certezza di questa distribuzione di calzature di questo genere ai poveri, appare in un testamento del 1327. Ma Rivolin cita poi un documento del 1206 trovato dal canonico François-Gabriel Frutaz che spiega come l'attuale centro nevralgico della Fiera alla Porta Prætoria fosse chiamato "place des marchés de Trinité". Dunque una sorta di Fiera c'era già, ma per avere certezze su quale fosse la vera antesignana dell'attuale lo stesso Frutaz cita una fiera fissata per il 31 gennaio dal mattino alla sera lungo le principali strade del Borgo. Il tutto viene confermato da aspetti di fiscalità derivanti dalla "Foire", attraverso ricerche originali di Rivolin che vanno dal 1305 fino al 1556 (dopo toccherebbe a qualcuno consultare l'Archivio di Stato di Torino). Per avversità atmosferiche la Fiera, finalmente dedicata senza "se" e senza "ma" a Sant'Orso, non si tenne nel 1307, mentre guerre ed epidemie (tipo la peste) sembrano non creare interruzioni e forse questo potrebbe derivare da un regime forfettario. Documenti ottocenteschi confermano, secondo Rivolin, che nel 1857 la Fiera era ridotta al lumicino, mentre nel 1885 i "Comice" la rilanciarono e lo stesso fece dal 1920 il celebre etnografo e giornalista Jules Brocherel e nel secondo dopoguerra saranno il "Comité des traditions valdôtaines" e sempre più la Regione autonoma a dare quell'impulso a questa gigantesca rappresentazione. Commenta Rivolin sul presente della Fiera: «Au-delà de son importance économique, elle représente, aujourd'hui plus que jamais, un moment exceptionnel de récupération, dans un climat de fête que soulignent les rites religieux et la veillée, de l'identité du peuple valdôtain, de ses racines les plus populaires, profondes et authentiques». Questo è quel che conta e sarà così anche in primavera.