Si potrebbe a lungo discettare sulle amicizie. L'unica cosa che ho capito è che ce sono di quelle stabili, che non hanno neppure bisogno di grandi frequentazioni, e ce ne sono invece di temporanee, che illuminano momenti della vita. Quel che è certo è che non ho mai valutato a priori le persone a seconda della loro posizione politica. Ho intrattenuto rapporti amichevoli con persone di estrema destra e di estrema sinistra, convincendomi che molto spesso gli opposti estremismi si toccano per la pervicacia ideologica che plasma i loro pensieri talvolta al limitare della ragionevolezza. Poi è ovvio che certe affinità elettive abbiano riguardato le amicizie con chi sto bene, che sia la simpatia della compagnia senza affatto politica di mezzo, ma anche con chi non passo il tempo a battibeccare ed a sopportare i suoi ideologismi applicati alla cronaca quotidiana ed alla vita in generale. La dialettica va bene ma non voglio faticare sempre. Ci pensavo su questa storia della guerra, dopo essermi sorbito la stagione pandemica.
La più grande delusione - per chi come me si sente federalista e dunque in molti casi in campo progressista, ad esempio su libertà e diritti civili - è certa sinistra irregimentata che giochicchia nella logica «né né», come la definisce in un articolo su "Repubblica" di Massimo Recalcati. «Alcuni tra i più grandi esperti di geopolitica - così scrive - sembrano essere d'accordo nel condannare la guerra scatenata da Putin e nel ritenere senza speranza la resistenza ucraina. La sproporzione delle forze in campo non lascerebbe dubbi sulle sorti del conflitto. Dunque meglio arrendersi subito e lasciare il campo alla diplomazia che prolungare la carneficina (come se sfuggisse il nesso evidente tra le sorti delle trattative e l'importanza della resistenza militare ucraina). Ne consegue che per alcuni di loro Zelensky sarebbe colpevole (quanto Putin?) di esporre il proprio popolo ad una carneficina insensata invece di arrendersi accettando le condizioni di pace imposte dal Cremlino». Ma poi il dito nell'occhio Recalcati lo mette a certa sinistra: «Questo ragionamento è condiviso anche da una certa sinistra nel nome del pacifismo: prima una guerra si interrompe prima si arrestano le morti. Peccato però che il "né né" non può essere rifiuto di prendere le parti della "Nato" o della Russia perché Ucraina oggi non coincide con la "Nato", ma con le vicissitudini di un popolo che rivendica con decisione e legittimità il suo diritto a non essere sottomesso. Tuttavia il discorso che reclama la fine immediata della guerra non sembra fare una grinza». Recalcati è molto sottile e io meno: esiste purtroppo chi ha una simpatia residua per la Russia, come un antico riflesso condizionato, che deriva dall'antiamericanismo come malattia infantile e da un pacifismo iconico come la colomba pasquale. Certo l'articolo mostra maggior "esprit de finesse": «Ma la grinza c'è ed è qualcosa che può sfuggire anche alle più sottili analisi geopolitiche. In psicoanalisi si chiama forza del desiderio e, al di là dell'espressione forse un po' retorica, concerne una dimensione della potenza che non è primariamente militare. Ne abbiamo diversi ritratti, anche mitici. Uno tra i più noti è quello biblico di Davide che sfida il gigante filisteo Golia. Ricordiamo le parole minacciose con le quali questi si rivolge con arroganza al gracile pastore: "Fatti avanti e darò le tue carni agli uccelli del cielo e alle bestie selvatiche". Non è difficile cogliere qui la prossimità del suo gergo con la più recente retorica putiniana. Ma Davide non arretra, né si lascia intimorire. E non sarà solo la scelta tattica della fionda a determinarne la vittoria. C'è sempre in ogni lotta un fattore supplementare che esorbita le capacità militari e le arti strategiche. Non perché queste non siano necessarie per vincere ("dateci armi, non consigli!", supplica Zelensky i suoi alleati), ma la forza di Davide è innanzitutto nella sua nuda fede, è davvero la forza indomabile del suo desiderio. E' quello che forse Putin ha maggiormente sottovalutato. E' quello che attraversa gli individui e i collettivi ogni qualvolta la decisione di combattere non è subita, imposta, genuflessa ad una causa estranea, ma scaturisce da un profondo sentimento di giustizia e di rifiuto del sopruso. Questa forza è l'incalcolabile di questa guerra, la grinza che disfa i discorsi più lineari». Salto alcuni passaggi e incornicio la parte conclusiva: «L'accusa che una certa sinistra rivolge a Zelensky di non arrendersi non coglie questo punto elementare: un intero popolo di uomini e di donne si rivolta con la potenza della loro nuda fede contro l'oppressore non perché segue fanaticamente il suo leader, ma perché non vuole rinunciare alle sue libertà democratiche e alla sua identità. Il vero terrore di Putin non sono, infatti, le armi della "Nato" sul suo confine, ma l'incubo altamente contagioso della democrazia. In questo senso la sinistra ideologica e populista - quella che Manconi ha recentemente definito come "sinistra autoritaria" - che non si schiera apertamente a fianco della resistenza del popolo ucraino, invocando la retorica del "né né", perde l'occasione per mostrare la sua adesione alla democrazia contro ogni forma di dittatura, ivi compresa quella del popolo che, come sappiamo, è purtroppo una matrice archetipica, difficile da estirpare, della sua storia. L'invocazione artefatta della "complessità" contro la sterile propaganda di coloro che vorrebbero distinguere senza indugi la democrazia da altre forme autoritarie di governo, l'equiparazione tra la democrazia americana e l'autocrazia putiniana, la critica alla "Nato" e all'Europa che finisce per attenuare di fatto le responsabilità criminali della Russia di Putin e del suo regime nell'avere provocato questa guerra, insomma tutta la retorica variegata dell'equidistanza, rivelano, in realtà, delle incrostazioni mnestiche profonde della sinistra ideologica e populista che le impediscono di aderire sino in fondo alla cultura della democrazia». Il termine "mnesico" penso sia stato scelto con attenzione: designa infatti una malattia...