Ci vuole poco per ritrovarsi d'improvviso con un retropensiero che ti accompagna nella quotidianità, come fosse un rumore dì fondo che infastidisce o un acufene che non cessa. Riflettevo su questo nel corso di un incontro a Roma con importanti funzionari ministeriali del Ministero dell'economia e delle finanze sul tema del "Pnrr", il famoso "Piano nazionale di ripresa e resilienza", il programma di investimenti per accedere alle risorse europee del "Next Generation EU". Una materia complicata se non caotica, che ha come orizzonte temporale il 2026. Mentre ci si occupava di procedure, finanziamenti, bandi e tutto quel groviglio burocratico che ne consegue, aleggiava nella grossa stanza riunioni dell'enorme palazzo di via XX Settembre (data del 1870 della Breccia di Porta Pia) una comune paranoia fra gli astanti. Questa inquietudine palpabile è: «cosa ne sarà di noi?». Proprio nel momento in cui si programmano gli anni a venire incombe questa variante che mai avremmo immaginato: la guerra in Europa.
Già gli anni scorsi abbiamo vissuto con l'ansia personale, familiare e collettiva della pandemia. Incombeva il pericolo del contagio e la paura della malattia, che ci ha costretti a regole non sempre facili e ad essere irregimentati in un dedalo di norme spesso bislacche e contraddittorie. Il nemico invisibile ci attorniava in una vita cambiata dall'oggi all'indomani in un saliscendi continuo e febbrile che non ha fatto bene a nessuno ed ha portato a fondo la civile convivenza. Proprio mentre questo stato mentale sembrava attenuarsi e una generale distensione appariva all'orizzonte con ritrovate libertà, ecco che la Russia invade l'Ucraina e l'agognata normalità si trasforma in una nuova emergenza che incombe. La paranoia di cui dicevo è come un inquietudine che ci accompagna: e se davvero questa guerra poco distante da noi sfociasse in fine nella temuta e mai arrivata guerra nucleare? La dico in due frasi. Una è nella Storia dei suoi esordi. La pronunciò Robert Oppenheimer, uno dei padri della bomba atomica, dopo il test di Trinity, che fu il primo test nucleare della storia luglio del 1945, prima di Hiroshima e Nagasaki, quando il mondo conobbe questa nuova arma: «Sapevamo che il mondo non sarebbe stato più lo stesso. Alcuni risero, altri piansero, i più rimasero in silenzio. Mi ricordai del verso delle scritture Indù, il Baghavad-Gita. Vishnu tenta di convincere il Principe che dovrebbe compiere il suo dovere e per impressionarlo assume la sua forma dalle molteplici braccia e dice, "Adesso sono diventato Morte, il distruttore dei mondi". Suppongo lo pensammo tutti, in un modo o nell'altro». Pochi anni dopo il grande giurista e politico Pietro Calamandrei scrisse quanto oggi è attualità: «La bomba atomica si affaccia come un simbolo riepilogativo, come la morale di un apologo: basterà che un uomo tocchi un tasto, perché tutti gli uomini, lui compreso, siano cancellati dal mondo». Lo sappiamo che è così ed è questa storia che ci tormenta, dì cui parliamo fra noi con idee diverse oscillanti fra ottimismo e pessimismo, chiedendoci all'unisono come diavolo sia possibile che si debba vivere con questa "spada di Damocle" sospesa sulla nostra testa.