Questa storia del tempo che passa e si invecchia resta una grande rottura di scatole. L'unica consolazione è che ci si trova sulle spalle uno zaino di esperienze e di ricordi che si fa sempre più grande. Quando si finisce di fare e di imparare cose nuove - cosa buona e giusta - si sbaglia di grosso e si passa con rapidità al rimbambimento. Ricordo sempre il mio coéquipier a Roma, il Senatore César Dujany, morto mentre si approcciava al secolo di vita: andavo a trovarlo e lui mi mostrava il libro che stava leggendo e mi interrogava con curiosità intellettuale di fronte ad un caffè su cose grandi e piccole. La sua era in ginnastica mentale a dispetto dei guai fisici sui quali sorrideva benevolmente. Ci pensavo appiccicando il bollino dell'Ordine dei giornalisti sul tesserino avuto ormai quarant'anni fa con l'esame da giornalista professionista. Era il 1982, anche se in realtà avevo cominciato a fare il giornalista in una radio di Torino nel 1978.
Avevo scelto quel mestiere che ormai raggiunge i quarant'anni, perché mi piaceva raccontare le cose e la radio e la televisione mi sembravano il modo migliore per farlo, perché vestito più adatto rispetto alla modernità. Ho continuato a fare il giornalista anche nelle lunghe fasi della vita in cui la mia principale occupazione è stata, come ora, la politica. Ricordo quando studiavo per l'esame da professionista e la ripartizione fra i mezzi dì comunicazione era più o meno questa: la radio dà la notizia, la televisione la fa vedere ed i giornali approfondiscono quanto avvenuto. Era una semplificazione che ormai è inutile discutere: la multimedialità ha confuso i confini ed oggi sul telefonino su cui sto scrivendo si incrociano i diversi media e tutto diventa indistinguibile. Tanto da mettere in crisi il mestiere di giornalista perché con troppi cappelli in testa e con editori spregiudicati che mirano solo al soldo e tendono a proletarizzare una professione che rischia lo svilimento. Eppure con la guerra in Ucraina si creano, almeno nella mia testa ha confermato delle gerarchie dei media. La velocità oggi sta nel Web e nobilita la scrittura. "Twitter" è rapidissimo a dare un avvenimento, ma la radio - ormai anch'essa su Internet senza obbligo dì ripetitori per cui posso ascoltare i reportage di "FranceInfo" - mantiene una duttilità unica e le voci ed i suoni evocano la guerra con efficacia e in modo incalzante. La televisione invece rende realistici gli scenari e consente dì vedere quanto il racconto orale non completa. Le fotografie riassumono anche solo in uno scatto il senso di una tragedia. Poi restano i giornali, oggi in crisi profonda ed ancora nella transizione complessa fra il cartaceo ed il digitale. Ormai io leggo prevalentemente quella che fu la carta stampata nella versione elettronica su telefono o tablet. Ebbene, per quanto voci e immagini siano essenziali per capire quanto avviene in Ucraina e vadano bene i dibattiti televisivi, anche se spesso più fatti di urla fra gli ospiti che occasione di confronto civile, il giornale resta il giornale laddove sono necessari approfondimenti e commenti. Questo consente di approfondire, dì scavare nelle cose, di capire i collegamenti, di dilatare i propri ragionamenti. E solo questo esercizio consente l'aspetto più importante: formarsi una propria opinione, sfuggendo ai rischi crescenti di essere manovrati dai sofisticati sistemi di convincimento e di manipolazione che dominano i "social". Se la pensi in un certo modo rischi di incontrare sul Web solo chi la pensa esattamente come te, venendo meno - in un cortocircuito - il confronto con chi propone idee e posizione diverse dalle tue. Le conseguenze le abbiamo viste con la massa irregimentata dei "no-vax" e lo vediamo con gli incredibili filorussi sulle vicende ucraine. Nella loro pervicacia ritrovi la logica nefasta del "pensiero unico" e della valanga che investe il loro cervello con l'alimentazione che avviene da notizie di fonte sempre e solo unilaterale. Diventano soldatini di piombo della loro causa. Chi legge e si informa da tanti fonti, controllandone la qualità e aprendosi al pluralismo, non smette mai di ragionare.