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04 mar 2022

Sull'autodeterminazione

di Luciano Caveri

Se si guarda alle vicende ucraine, che colpiscono al cuore chiunque creda nella democrazia, tornano come nodi al pettine antiche questioni, compresa la lettura dell'autodeterminazione. L'indipendentismo, che passa attraverso il diritto all'autodeterminazione, è un fenomeno ben noto per chi studi la storia, il Diritto costituzionale e quello internazionale, così come le Scienze politiche in senso più generale. Anche in Valle d'Aosta ci sono stati e ci sono indipendentisti con cui è giusto confrontarsi quando dicono cose sensate e non quelle insensate, sapendo quanto il tema sia serio. Si tratta infatti di un argomento che va affrontato con competenza e conoscendo i risvolti giuridici e non inseguendo senza costrutto chissà quale sogno con vieta retorica patriottarda.

Quando dico che è legittimo parlarne a condizione di farlo non abbaiando alla luna, segnalo come nella libertà d'opinione - anche se le norme penali italiane hanno ancora sul tema l'impronta dell'epoca fascista e bisogna farci attenzione - ci stia anche questo, a condizione naturalmente che non ci siano reati o violenze. Ricordo che nel codice penale italiano sopravvive l'articolo 241: "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti violenti diretti e idonei a sottoporre il territorio dello Stato o una parte di esso alla sovranità di uno Stato straniero, ovvero a menomare l'indipendenza o l'unità dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni. La pena è aggravata se il fatto è commesso con violazione dei doveri inerenti l'esercizio di funzioni pubbliche". I commentatori della norma ricordano, però che «In origine presentava la struttura tipica dell'attentato quale reato a consumazione anticipata caratterizzato dal compimento di fatti diretti alla realizzazione di risultati dannosi. Oggi, a seguito della riforma avvenuta con legge 24 febbraio 2006, n. 85 la condotta si concentra sul compimento di atti violenti diretti e idonei, rendendo quindi necessario un accadimento casualmente idoneo a produrre uno degli eventi indicati nella norma». Anche il Diritto internazionale non consente di nascondersi dietro all'autodeterminazione. Dunque è una stupidaggine ogni giustificazione dell'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, sostenendo che si tratti di un atto obbligato per garantire l'autodeterminazione delle Repubbliche separatiste del Donbass, che si aggiunge alla russificazione della Crimea avvenuta nel 2014. Qualcuno dice: la Russia ha facilitato con il proprio intervento la richiesta di libertà di quelle popolazioni. Ma cosa diavolo c'entra l'invasione dell'Ucraina tutta intera? Sarebbe legittimo un intervento armato russo per "facilitare" l'autodeterminazione? La Russia non colpisce semmai con violenza inusitata il diritto all'autodeterminazione degli ucraini? Ricordo ancora come il "caso Catalogna" mostri una sordità sul tema delle Istituzioni europee e degli Stati che la compongono (unica eccezione, il Belgio) sul tema dell'autodeterminazione con la considerazione capziosa che il principio valeva per gli Stati postcoloniali e non per l'Europa! Quanto non accettabile, naturalmente. Quando nel 1991 presentai alla Camera dei Deputati la proposta di legge costituzionale "Norme per la costituzione dello Stato federale" eravamo in un periodo particolare: "Tangentopoli" (detta anche "Mani Pulite") non era ancora scoppiata - lo sarà un anno dopo - e non si parlava al momento, e cioè si verificherà due anni dopo, di riforme costituzionali in Parlamento, conseguenti in particolare alla crisi profonda della Prima Repubblica. Si era fermi al lavoro, avvenuto con la "Bicamerale Bozzi", a metà degli anni Ottanta e solo nel 1993 inizierà i suoi lavori quella "Bicamerale De Mita-Iotti" di cui sono stato membro, presentando ovviamente le tesi federaliste e infine vi fu la "Bicamerale D'Alema" che in parte approdò alle riforme costituzionali del 2001, riguardanti anche il nostro Statuto. Le successive riforme "Berlusconi" e "Renzi-Boschi" di fonte governativa furono bocciate dai cittadini attraverso il referendum confermativo. Ebbene la proposta, depositata in Parlamento agli inizi degli anni Novanta, fu - dai tempi della Costituente - l'unico testo all'attenzione della Camera di impronta federalista, che cadde nel vuoto di un'Italia distratta, che non aveva coscienza di essere alla vigilia di grandi rivolgimenti politici. Ogni tanto la riguardo questa proposta e, se dovessi metterci mano, ora che ho accumulato più esperienza cambierei alcuni aspetti, limando alcune ingenuità, ma il disegno resta valido. Uno dei passaggi più interessanti di quei ragionamenti sul testo presentato allora riguardava - anche se capisco che sembra un rompicapo intellettuale - di come smontare la macchina statuale e ricomporla in una logica federale. Scelsi di usare nel primo articolo un'espressione forte, che temevo potesse essere intercettata nelle forche caudine delle verifiche tecniche degli Uffici della Camera, vale a dire: "I popoli delle regioni (seguiva l'elenco delle Regioni attuali), nell'esercizio della loro sovranità e del loro diritto di autodeterminazione, si costituiscono in Repubbliche e liberamente si uniscono con vincolo federativo nella Repubblica federale italiana". Capisco che si trattasse di una posizione risoluta - questa è una delle ingenuità rinvenibili - perché certo non c'è un eguale interesse di tutti questi citati "popoli" a muoversi in senso federalista, ma bisognava comunque cercare - nella guerra di posizione delle Riforme - di scavare una trincea molto avanzata almeno come testimonianza. Per questo credo di avere le carte in regola per poter discutere del tema in un periodo nel quale diverse motivazioni concomitanti fragilizzano il regionalismo, figurarsi il federalismo.