Ero deputato europeo quando all'inizio degli anni Duemila "membres fictifs" dei Paesi del successivo allargamento dell'Unione europea parteciparono ai lavori del Parlamento europeo. Una presenza interessante, che prefigurava quanto poi sarebbe avvenuto nelle tappe successive. C'ero quando Romano Prodi, che era presidente della Commissione, spiegava in quegli stessi anni ai suoi collaboratori il significato più profondo di questa scelta: far tornare nel seno della democrazia occidentale i Paesi dell'Est e del Centro Europa finiti nel secondo dopoguerra sotto il giogo dell'Unione Sovietica. Lasciati al loro destino chissà che fine avrebbero fatto, mentre - pur con qualche spinta negativa che oggi vediamo in Ungheria e Polonia - l'integrazione europea si è dimostrata un porto più sicuro e munifico per via dei fondi comunitari.
Capitò a Bruxelles in quei giorni il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, al suo secondo Governo, che - reduce da incontri con Vladimir Putin - fece una delle sue uscite estemporanee. In sintesi aprì all'ipotesi, francamente grottesca, dì un allargamento alla Russia dell'Unione europea. Apriti cielo! Quei deputati dei Paesi ex comunisti si preoccuparono e lo dissero a noi europarlamentari italiani e ci sforzammo di spiegare loro che si trattava dì null'altro che una boutade. Era paura vera e propria la loro, dopo aver riottenuto la libertà. Mi venne in mente dì quando un prete polacco spiegò a mio padre, militare internato ad Auschwitz, che dopo la schiavitù dei tedeschi per loro polacchi e per gli altri Paesi a loro vicini ci sarebbe stata la dittatura comunista. Triste profezia, concretizzatasi con il "Patto di Varsavia" e che fosse una privazione dì ogni forma di democrazia lo dimostrarono prima la repressione sovietica del 1956 in Ungheria e del 1968 in Cecoslovacchia. Il Muro di Berlino fu simbolo evidente dì prigionia e la sua caduta nel 1989 fu come la stura del desiderio di tornare in seno all'Europa. Oggi quei ricordi personali e familiari mi tornano alla memoria di fronte alla violenza russa e all'evidente desiderio espansionistico di una Russia che mostra l'evidente ambizione di tornare a quella potenza che venne espressa dall'Unione Sovietica. Una scelta imperialistica antica ed è giusto rifarsi a quelle personalità spesso bizzarre che furono gli Zar, reincarnatosi nei leader comunisti dopo la Rivoluzione d'Ottobre. La spregiudicatezza è sempre stata una caratteristica peculiare del tutto inquietante e che sembra tornare con il volto di Vladimir Putin, un dittatore che piace ai comunisti residui ed anche alla destra italiana con una specie dì capovolgimento che ci deve fare pensare. Lo mostra la profonda ambiguità della Lega, ieri grandemente espressa da Mattia Feltri su "La Stampa", che ha ricordato nel suo articolo consueto di prima pagina lo straordinario innamoramento di Matteo Salvini verso Putin, esaltato come se fosse un fenomeno. I leghisti degli anni Novanta, che ho ben conosciuto e che professavano federalismo, credo che siano sconvolti di finire filorussi. Tornando al punto: capisco bene come la paura della Russia e del suo desiderio di riprendere la "sua" Europa sia oggi il progetto folle di un Putin di cui bisognerebbe valutare la salute mentale. Ha trattato con i leader europei, quando già aveva un piano ben prefigurato, contando sulla forza del suo regime, assecondato incredibilmente dalla stampella elettorale, come fecero e hanno fatto altri dittatori, sbandierando i loro rispettivi nazionalismi con bandiera rossa o bandiera nera con cittadini che si fanno prendere all'amo per poi finire male. E la guerra è il peggio. Pensavo, con franchezza, di lasciare ai miei figli un mondo ben migliore di questo e quantomeno un Europa sicura, mentre oggi aleggia di nuovo l'incubo del fungo delle atomiche.