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24 feb 2022

"Tangentopoli" dopo trent'anni

di Luciano Caveri

Era il 1992 e con l'arresto nel febbraio di quell'anno di Mario Chiesa iniziò in sordina "Tangentopoli". Il pool "Mani Pulite", partendo da un piccolo episodio corruttivo svoltosi a Milano, iniziò un'opera di lotta - allora apprezzatissima a furor di popolo, oggi in parte ridimensionata - contro il sistema partitico, la famosa partitocrazia o meglio parte di essa, accusata di essere gravemente marcia. Per chiarezza: elementi ne emersero, come da condanne. Io all'epoca venni rieletto deputato per la seconda volta assieme al Senatore César Dujany. In una lotta contro una coalizione sulla carta stravincente e composta da "tutti contro gli Autonomisti" (fatta eccezione per repubblicani e radicali). Fummo invece noi a vincere a man bassa e questo portò alla fine di una maggioranza regionale senza l'Union Valdôtaine in Regione.

Ma già nel dopo elezioni l'aria in Italia si fece assai pesante e il pool "Mani Pulite" macinò nei mesi a venire arresti e consensi. Ci fu una mediatizzazione senza eguali e giovani cronisti di allora - penso a Mattia Feltri - ammettono oggi un corto circuito accusatorio, che enfatizzò fatti e personaggi nel bene e nel male. In quel clima doveva nascere un Governo ed il presidente del Consiglio in pectore era stato indicato in Giuliano Amato, che aveva bisogno di voti al Senato. Per questo, prima che ci fossero i passaggi che poi affrontammo (passaggio al Quirinale, dialogo con il presidente incaricato e infine voto di fiducia) fummo come parlamentari valdostani invitati da Bettino Craxi ad un colloquio in via del Corso, nella sede storica del PSI, presente lo stesso Amato. Fu una mattinata per me indimenticabile: non avevo mai parlato con Craxi, mentre conoscevo bene Amato. Ma il mattatore fu lui, il leader ancora autorevole prima del declino che lo toccò ineluttabilmente. Parlò di tutto con una capacità affabulatoria che mi stupì e compresi la forza della sua leadership. Parlammo anche della Valle d'Aosta e di quel ribaltone con cui l'Union Valdôtaine era stata relegata all'opposizione. Rividi Craxi - e per me resta un simbolo di quegli anni - quando in piena bufera giudiziaria - intervenne a Montecitorio il 2 luglio 1992 a pochi metri da me. Lo fece in un silenzio tombale, ruotando la testa da una parte all'altra dell'emiciclo, con tono deciso ma affaticato. Tacque anche l'enorme gruppo leghista, che solo pochi giorni prima - a pochi metri dal mio banco al centro dell'emiciclo - aveva agitato un cappio nelle mani di tale Luca Leoni Orsenigo. Quello resta un passaggio importante e vorrei citare - non certo a sua discolpa, perché ormai il giudizio è nelle mani della Storia - alcune cose interessanti che disse allora e che appunto possono oggi risultare storicizzate. Ecco un primo brano: «Purtroppo anche nella vita dei partiti molto spesso è difficile individuare, prevenire, tagliare aree infette sia per la impossibilità oggettiva di un controllo adeguato, sia talvolta, per l'esistenza ed il prevalere di logiche perverse. E così all'ombra di un finanziamento irregolare ai partiti e, ripeto, al sistema politico, fioriscono e si intrecciano casi di corruzione e di concussione, che come tali vanno definiti trattati provati e giudicati. E tuttavia, d'altra parte, ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare od illegale. I partiti, specie quelli che contano su apparati grandi, medi o piccoli, giornali, attività propagandistiche, promozionali e associative, e con essi molte e varie strutture politiche e operative, hanno ricorso e ricorrono all'uso di risorse aggiuntive in forma irregolare od illegale. Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale». Poi il passaggio più noto, che pronunciò quasi al rallentatore con le sue ben note pause: «Non credo che ci sia nessuno in quest'aula, responsabile politico di organizzazioni importanti che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro. E del resto, andando alla ricerca dei fatti, si è dimostrato e si dimostrerà che tante sorprese non sono in realtà mai state tali. Per esempio, nella materia tanto scottante dei finanziamenti dall'estero sarebbe solo il caso di ripetere l'arcinoto "tutti sapevano e nessuno parlava"». Aggiungo solo, come materia di riflessione per quel che verrà nei decenni successivi ai fatti di allora, questo passaggio: «La criminalizzazione della classe politica, giunta ormai al suo apice, si spinge verso le accuse più estreme, formula accuse per i crimini più gravi, più infamanti e più socialmente pericolosi. Un processo che quasi non sembra riguardare più le singole persone, ma insieme ad esse tutto un tratto di storia, marchiato nel suo insieme. Un vero e proprio processo storico e politico ai partiti che per lungo tempo hanno governato il Paese. Mi chiedo come e quando tutto questo si concili con la verità, che rapporto abbia con la verità storica, con gli avvenimenti e le fasi diverse e travagliate che abbiamo attraversato e nelle quali molti di noi hanno avuto responsabilità politiche di governo di primo piano. Davvero siamo stati protagonisti, testimoni o complici di un dominio criminale? Davvero la politica e le maggioranze politiche si sono imposte ai cittadini attraverso l'attuazione ed il sostegno di disegni criminosi?». Lungi da me una rilettura che suoni come nostalgica o assolutoria, ma l'attuale epoca della demagogia e del populismo e della tragedia dell'«uno vale uno» ci obbliga - come altri più autorevoli di me stanno facendo - a capire meglio quanto avvenne non tanto per revisionare il passato, quanto per delineare percorsi democratici per non dimenticare reati, errori, forzature, dolori. Dopo trent'anni si può fare.