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20 feb 2022

La lezione dell'Ucraina

di Luciano Caveri

Chissà se davvero i nuvoloni neri di una possibile guerra mondiale innescata dall'invasione dell'Ucraina da parte della Russia saranno destinati a diradarsi, come ora appare sicuro dopo giorni di alta tensione. La Storia ci insegna, in positivo e in negativo, che ci vuole poco a buttare un cerino nella polveriera. Oggi sappiamo che anche nell'epoca della "guerra fredda" solo fortunate combinazioni hanno evitato che un missile nucleare facesse scoppiare una guerra senza vincitori né vinti, ma con una tragedia a livello planetario. Dai fatti di questi giorni appare chiara la logica di Vladimir Putin - mi avventuro solo per un momento nella complicata politica estera di cui non sono esperto - ed è quella di minacciare i Paesi confinanti, quando non riesce a rimetterli al laccio, come avvenne al tempo del "Patto di Varsavia" dopo gli accordi di Yalta.

L'Unione europea, con l'allargamento avvenuto ed in corso nel Centro e nell'Est Europa, resta un incubo per lo Zar dei giorni nostri, perché il virus della democrazia spaventa gli autocrati. I fatti di questi giorni dimostrano almeno due cose. La prima è che resta in Italia un antiamericanismo latente ed al contrario c'è chi è filo-russo per interesse; la seconda è che i pericoli di una guerra non vengono presi sul serio, come se in fondo si immagina sempre un lieto fine al limitare del dramma. Il mix dei due fenomeni ha fatto sì che, tranne sparuti gruppi, in piazza per l'Ucraina non sono scese folle. Se gli Stati Uniti avessero fatto qualcosa di simile nel Centro America avremmo visto i soliti antagonisti dar fuoco alle polveri. Così, specularmente, vanno ben valutate le posizioni di chi - quattro gatti, certamente - guarda ancora al comunismo sovietico con nostalgia e chi invece simpatizza con la Russia perché da lì arrivano evidenti flussi di finanziamenti illeciti. Ma la gran massa esprime invece una sorta di indifferenza, nel senso di non credere che la guerra possa precipitarci addosso e non mi riferisco ai pacifisti di professione, che ad ogni vigilia di guerra mondiale - lo si è visto nella Prima e nella Seconda - hanno inalberato cartelloni e pronunciato slogan a vantaggio alla fine di chi la guerra la voleva, eccome! Invece, purtroppo, anche se può dispiacere la guerra c'è ed insanguina molti parti del mondo, mentre voi leggete queste righe e il terrorismo estremista alberga fra di noi. E' una realtà cruda e violenta, ma non si possono ammantare le cose di un buonismo insensato. La guerra fa parte purtroppo del "Dna" della nostra umanità ed anche questa volta che ci siamo avvicinati al peggio dobbiamo constatare che questa propensione al male esiste e non si può far finta che non ci sia. Toccherebbe al Diritto internazionale ed alla forza morale del pensiero umano avere alla fine gli antidoti affinché l'orrore bellico venga disinnescato, ma la debolezza della politica e della diplomazia è manifesta. Questo perché il Diritto, sia chiaro, vale e si afferma solo nei Paesi democratici e se scorriamo la lista dei Paesi che siedono nelle Nazioni Unite c'è da stare male fra regimi dittatoriali più o meno feroci e democrazie di cartapesta. Resta, comunque sia, tutto intatto l'orrore per la guerra, che ha raggiunto livelli incredibili di tecnologia mortifera e di crudele sofisticatezza. Scriveva in latino - lingua franca dell'epoca - Erasmo da Rotterdam, vissuto a cavallo fra il Quattrocento è il Cinquecento: «Anche i grammatici hanno intuito la natura della guerra: alcuni sostengono che essa si chiama "bellum" per antitesi, perché non ha niente di buono né di bello; la guerra è "bellum" nello stesso senso in cui le Furie sono le "Eumènidi". Altri preferiscono far derivare la parola "bellum" da "bellua, belva": perché è da belve, non da uomini, impegnarsi in uno sterminio reciproco».