Con Enrico Mentana, che nel giornalismo ha fatto una meritata carriera, eravamo fra i più giovani in "Rai" (lui 1955, io 1958). Ho molto ammirato la sua scelta di non invitare "no-vax" nel suo telegiornale, mentre non ho capito la scelta di Bianca Berlinguer di continuare ad ospitarne, come fa "La 7" in abbondanza nelle sue trasmissioni. Scelta democratica o utile modo per buttare benzina sulle polemica alla ricerca degli ascolti? Il tema, infatti, prescinde dai vaccini, perché ha un prima e avrà un dopo. Altrimenti perché Lilli Gruber assolda il pessimo polemista Marco Travaglio velenoso come un'aspide e la stessa Berlinguer ci delizia con Mauro Corona che si segue dallo schermo per vedere quale stranezza tiri fuori in trasmissione vestito da yeti?
L'ultima rissa è avvenuta proprio a "#cartabianca" della Berlinguer, che usa - per avere un volto liscio senza una ruga - la stessa tecnica delle luci sparate sul volto di una qualunque Barbara D'Urso, che è lei stessa regina della televisione urlata e commossa a seconda delle necessità. Sceneggiate montare apposta come spiega il critico televisivo Aldo Grasso sul "Corriere", evocando «la rissa tra Alberto Contri e Andrea Scanzi, a colpi di "mascalzone", "bollito", "cretino", "hai i neuroni di un cercopiteco"». Tutto cercato, specie se si ha come ospite fisso questo Scanzi, vanesio e rissaiolo. Spiega Grasso: «La prova? L'ha fornita l'Auditel: il programma ha avuto una media superiore a 7,55 per cento, con una media di 1.412.000 spettatori, ben sopra quella normale. In cuor suo, Bianca Berlinguer sarà stata contenta, come lo sono tutti i conduttori quando aumentano il bottino di pubblico. Il conduttore non è mai un arbitro, è un giocatore, anche quando "finge" di voler riportare la calma. Non raccontiamoci storie. Tempo fa, a proposito dei talk pieni di "sfessati", Fedele Confalonieri aveva trovato il coraggio di dire che il re era nudo: "Il talk-show deve fare casino, sennò chi lo guarda?"». Lo aveva già capito Maurizio Costanzo che seguivo tanti anni fa, quando si capiva e non era colpito da gravi problemi di dizione, ospitando personaggi improbabili e non a caso è stato il mentore di Vittorio Sgarbi, inventore della maleducazione televisiva come genere di successo («Capra, capra, capra!»). Ancora Grasso: «In effetti, il talk show è un genere che ha fatto presto a degenerare. Non c'è talk senza trash, non c'è talk senza gli scazzi, senza gli Scanzi. Se tu inviti delle persone normali a discutere, c'è il rischio della prevedibilità, della monotonia, della noia, di un mondo chiuso dove si discute sempre delle stesse cose. La rottura sta solo nella rissa: per questo, nella scelta degli ospiti o del casting che dir si voglia, bisogna prevedere la contrapposizione, il tafferuglio, il parapiglia. I talk si nutrono essenzialmente di tre componenti: la compagnia di giro, che significa da parte dell'ospite molta disponibilità e capacità performative (Scanzi, per esempio, lo troviamo ospite su diversi talk); la totale mancanza di controllo sulle affermazioni dei partecipanti (invito a spararla grossa); la creazione di un nemico reale contro cui scagliare il proprio dissenso. Quanta ingenuità, nei virologi, negli epidemiologi, negli infettivologi, nei medici che si occupano di pandemia e passano il tempo in televisione a reclamare un confronto fra pari! Il virologo senza l'antivaccinaro, in termini televisivi, non esiste. Non viene invitato in un programma di medicina ma in un talk e a furia di accettare le regole del talk (il talk deve fare casino, sennò chi lo guarda?) finisce anche lui per creare non poca confusione. Nelle logiche del genere, il "discorso" significa che una parola vale l'altra e l'unica strategia è quella di spararne tante (di parole), in una escalation sempre più ridondante, in modo tale che l'ultima faccia dimenticare quelle precedenti. Nei talk, il "discorso" ha il solo scopo di "fare opinione", di conquistare l'assenso della "gente". Chi urla più forte, chi non fa parlare l'altro, chi dà sulla voce all'avversario di solito vince». Insomma una televisione che nel nome degli ascolti sacrifica buonsenso e correttezza, diventando una caricatura della società in cui il brutto e il cattivo assurge a metodo. Parafrasando la definizione della politica del famoso ministro Rino Formica «sangue e merda». Scusate la citazione. Conclude Grasso: «Il talk show è parola che si fa spettacolo, come vuole tradizione drammaturgica: è una necessaria semplificazione delle idee, è una fatale iniezione di populismo, è un esplicito incitamento alla forte contrapposizione. Non raccontiamoci storie, l'incontro di pugilato, meglio di wrestling è ogni volta in programma: più il talk è brutto, più la televisione è bella». Colpa loro, ma anche nostra, quando ci abbeveriamo in certi orrori e accresciamo gli ascolti con il nostro voyeurismo.