Par di capire, a bocce ferme, che non sia affatto vero che la Commissione europea abbia consigliato di non usare il termine "Natale", ma di considerare invece - ad uso interno - che le confessioni religiose ormai sono varie e che ci sono non credenti. Insomma, non tutti sono cristiani e dunque bisogna avere sensibilità e comportarsi di conseguenza. Capisco l'appello ma resto convinto che non ci sia nulla di discriminatorio nel dire «Buon Natale!», immaginandosi di sostituirlo con un eventuale e anonimo «Buone Feste!» non si vince il diploma da politicamente corretto. Sono sostenitore della piena tolleranza verso qualunque forma dì religiosità che non sia violenta o prevaricatrice. La fede è un dono che serve per essere credenti e per creare un senso di comunità, rispettando chi di fede ne ha un'altra in un'evidente ed indispensabile clima di reciprocità.
Chi vive in Occidente gode in questo senso di ampi diritti, altrove i cristiani vengono perseguitati o persino uccisi. E' una bella differenza! Ma, nella logica del diritto costituzionale che ci è propria, valgono non solo i diritti ma anche i doveri e dunque chi è accolto e dev'essere oggetto del nostro rispetto non deve certo offendersi per un augurio natalizio o per un presepe in una scuola. Il cristianesimo, che certo ha avuto lotte intestine e pagine molto scure nel corso della Storia, resta una religione che predica amore e comprensione. La celebrazione della Natività mette in scena una famiglia, persino perseguitata, che assume un valore universale in un periodo dell'anno da sempre all'attenzione di noi esseri umani. Già le popolazioni precristiane celebravano a loro modo il solstizio d'inverno, cioè la notte più lunga ed il giorno più corto. Questo fenomeno veniva interpretato in chiave religiosa, che ha sempre rappresentato una spiegazione della Natura che ci circonda: il sole, giunto al minimo della sua forza e della sua potenza, sembrava improvvisamente rinascere, riconquistava le tenebre e faceva ripartire le stagioni feconde. Così a ridosso del 25 dicembre i Romani festeggiavano il "Sol invictus" (sole invincibile), gli Egiziani la nascita di Horus, gli Indopersiani quella di Mitra, i Siriani quella di El Gabal, i Greci quella di Helios. Fu poi Aureliano il primo imperatore romano ad istituire ufficialmente il 25 dicembre la festa del "Sol invictus", nel 274. Costantino, infine, nel 330, trasformò la ricorrenza in festa cristiana facendovi coincidere la nascita di Cristo, fino ad allora festeggiata in date diverse. Per dire che tutti nei millenni e certo anche prima hanno avuto di momenti come il nostro Natale per stare in famiglia, assieme alle persone care, a fare festa con cibi e bevande. Lo scambio dei doni non è una banalità ma un comportamento sociale importante. Così come c'è sempre stata l'idea della luminosità, dal vischio alle candele sino alle luminarie di oggi, così come l'albero addobbato ha significati profondi. La preghiera, il canto, i giochi: nulla di nuovo, ma eredità che muta nel tempo. Ecco perché il Natale va condiviso e ognuno gli dia il significato che vuole, ma non se ne cancelli il nome! Anzi, lo si guardi a tutte le età con gli occhi di un bambino. Tutti li abbiamo avuti.