Come la mettiamo nella lingua scritta (quella parlata è ancora più complicato!) rispetto alle richieste di usare accorgimenti per non avere una dittatura del maschile sul femminile e per dare spazio a chi non si sente né maschio né femmina? Sono dibattiti che non sottovaluto, ma che mi stremano. Un ultimo esempio arriva dalla Francia e lo traggo da "L'Express". Tenetevi forte! Così racconta Michel Feltin-Palas: «Trois petites lettres suffisent parfois à déclencher une grande polémique. Tel est le cas de "iel", pronom composé en mixant "il" et "elle" pour désigner une personne qui refuse d'être assignée à un genre précis. Le "Robert" a décidé de le faire figurer dans son édition en ligne, ce qui soulève au moins deux difficultés. La première est que le rôle d'un dictionnaire général se limite à "donner des renseignements sur les mots de la langue commune" (la définition est celle du "Petit Robert" lui-même). Or, pour le moment, l'usage de "iel" est on ne peut plus confidentiel. Seule une poignée d'adeptes l'utilise à l'écrit et on ne l'entend quasiment jamais à l'oral. Le faire entrer aussi rapidement dans "Le Robert", fût-ce dans sa version en ligne, ressemble donc davantage à une démarche idéologique qu'à une convention lexicographique».
«La seconde est qu'un pronom personnel ne fonctionne jamais seul - prosegue - Faut-il, par exemple, écrire "iel est blond" ou "iel est blonde"? Sachant que les personnes concernées n'acceptent aucune de ces deux formes, il faudrait donc inventer également un nouveau type d'adjectifs qui ne soit perçu ni comme masculin ni comme féminin, puis, de proche en proche, une syntaxe neutre complète. Croire qu'on peut l'instaurer au forceps est une illusion. Car toute langue fonctionne par consensus. Le français n'appartient certes ni à l'Académie française ni au gouvernement, mais il n'est pas non plus la propriété d'un cercle militant». Militanti attivissimi, che anche in Italia agiscono. Leggo un lungo e dotto articolo sull'Accademia della Crusca di Paolo D'Achille, che deve giostrarsi sull'abisso del politicamente scorretto ed evitare il j'accuse di sessismo. Così spiega in un passaggio: «Per impostare correttamente la questione dobbiamo dire subito che il genere grammaticale è cosa del tutto diversa dal genere naturale. Lo rilevavano nel 1984, a proposito del francese, Georges Dumézil e Claude Lévi-Strauss, incaricati dall'Académie Française di predisporre un testo su "La féminisation des noms de métiers, fonctions, grades ou titres" ("La femminilizzazione dei nomi di mestieri, funzioni, gradi o titoli"). Non entriamo qui nella tematica della distinzione tra sesso biologico e identità di genere, su cui torneremo, almeno marginalmente, più oltre; ci limitiamo a ricordare che negli studi di psicologia e di sociologia il genere indica "l'appartenenza all'uno o all'altro sesso in quanto si riflette e connette con distinzioni sociali e culturali"; tale accezione del termine, relativamente recente, è calcata su uno dei significati del corrispondente inglese "gender", quello che indica appunto l'appartenenza a uno dei due sessi dal punto di vista culturale e non biologico. Che il genere come categoria grammaticale non coincida affatto con il genere naturale si può dimostrare facilmente: è presente in molte lingue, ma ancora più numerose sono quelle che non lo hanno; può inoltre prevedere, nei nomi, una differenziazione in classi che in certi casi non sfrutta e in altri va ben oltre la distinzione tra maschile e femminile propria dell'italiano (dove riguarda anche articoli, aggettivi, pronomi e participi passati) perché, oltre al neutro (citato in molte domande pervenuteci, evidentemente sulla base della conoscenza del latino), esistono, in altre lingue, vari altri generi grammaticali, determinati da criteri ora formali ora semantici; infine, come avviene in inglese, può limitarsi ai pronomi, senza comportare quell'alto grado di accordo grammaticale che l'italiano prevede. Neppure in italiano si ha una sistematica corrispondenza tra genere grammaticale e genere naturale. E' indubbio che, in particolare quando ci si riferisce a persone, si tenda a far coincidere le due categorie (abbiamo coppie come il padre e la madre, il fratello e la sorella, il compare e la comare, oppure il maestro e la maestra, il principe e la principessa, il cameriere e la cameriera, il lavoratore e la lavoratrice, eccetera), ma questo non vale sempre: guida, sentinella e spia sono nomi femminili, ma indicano spesso (anzi, più spesso) uomini, mentre soprano e contralto sono, tradizionalmente almeno (oggi il femminile la soprano è piuttosto diffuso), nomi maschili che da oltre due secoli si riferiscono a cantanti donne. Arlecchino è una maschera, come "Colombina", mentre "Mirandolina" è un personaggio, come il "Cavaliere di Ripafratta", che di lei si innamora». Scartata l'idea - dice l'autore - «di far ricorso al neutro per rispettare le esigenze delle persone che si definiscono non binarie, citando il latino, perché non si tiene presente da un lato che l'italiano, diversamente dal latino, non dispone di elementi morfologici che possano contrassegnare un genere diverso dal maschile e dal femminile, dall'altro che in latino (e in greco) il neutro non si riferisce se non eccezionalmente a esseri umani», chiarisce un aspetto di non poco conto. Ecco la spiegazione: «Ogni tanto, specie nei regimi totalitari, la politica è intervenuta anche ad altri livelli della lingua, ma quasi mai è andata a violare il sistema. E poi il "dirigismo linguistico" (di cui, secondo alcuni, anche il "politicamente corretto" raccomandato alla Pubblica amministrazione costituirebbe una manifestazione) assai di rado ha avuto effetti duraturi». Ricordato l'uso ormai di cose tipo candidato/a che evitano - così pare - discriminazioni, D'Achille segnala l'uso dell'asterisco * al posto del cancelletto / proprio per "neutralizzare" il genere. Non mi dilungo sulle difficoltà nell'uso e su come diavolo possa essere usato nella fonetica e segnalo infine lo "schwa" (o "scevà"), cioè il simbolo dell'Alfabeto fonetico internazionale ("Ipa"), cioè "ə". Sottolinea l'esperto della Crusca: «A nostro parere, invece, si tratta di una proposta ancora meno praticabile rispetto all'asterisco, anche lasciando da parte le ulteriori difficoltà di lettura che creerebbe nei casi di dislessia. Intanto, sul piano grafico va detto che mentre l'asterisco ha una pur limitata tradizione all'interno della scrittura, il segno per rappresentare lo "schwa" (la "e" rovesciata "ə", forse non di facilissima realizzazione nella scrittura corsiva a mano) è proprio, come si è detto, dell'Ipa, ma non è usato come grafema in lingue che pure, diversamente dall'italiano, hanno lo "schwa" all'interno del loro sistema fonologico». Conclude Paolo D'Achille: «Dobbiamo serenamente prenderne atto, consci del fatto che sesso biologico e identità di genere sono cose diverse dal genere grammaticale. Forse, un uso consapevole del maschile plurale come genere grammaticale non marcato, e non come prevaricazione del maschile inteso come sesso biologico (come finora è stato interpretato, e non certo ingiustificatamente), potrebbe risolvere molti problemi, e non soltanto sul piano linguistico. Ma alle parole andrebbero poi accompagnati i fatti». Questi - mio pensiero - contano di più e sono più faticosi da ottenere.