Entrai in "Rai" come praticante giornalista il 22 febbraio del 1980, per caso il giorno del compleanno di mio papà. Ci fu una novazione di contratto, perché ero già collaboratore (mandavo le notizie alla "Voix de la Vallée" telefonando dalle cabine telefoniche). Fu per me il coronamento dì un sogno: fare il giornalista radiotelevisivo! Avevo cominciato da ragazzino a "Radio Saint-Vincent", ero transitato a "Radio Reporter" di Torino (con i primi contributi previdenziali!) e poi a "RadioTeleAosta", dove venni cacciato su richiesta di politici locali per la mia verve e fu la mia fortuna. Alla Rai entrai per una casualità. Già allora vigeva la lottizzazione di oggi e nel caso del posto che occupai ad entrare doveva sedere un democristiano. Chiamarono Armido Chiattone, esponente della DC, che faceva l'assicuratore. Visto il magro stipendio giornalistico a inizio carriera, "Mido" (che era un amico, che purtroppo è scomparso) declinò e, a mio vantaggio, nessun altro risultò papabile in quell'area politica.
Per cui il caporedattore, Mario Pogliotti, grande inviato ed eclettico artista, simpatizzando per me, presentò il mio nome e dopo un periodo di tribolazione a Roma si rassegnarono e così entrai. Sino al 1987 feci il giornalista a tempo pieno, senza alcuna tentazione politica con soddisfazioni varie nei miei reportage. Poi - una volta eletto per ben 22 anni - ci fu un buco, cioè l'aspettativa per mandato politico e tornai in "Rai" solo nel 2009 sino alla recente nuova sosta ed il pensionamento da poco grazie agli anni accumulati per farlo. Trovai al mio rientro e negli undici anni come responsabile dei Programmi una "Rai" ancora più assediata dai partiti nei livelli apicali ed era quasi da rimpiangere la partitocrazia della Prima Repubblica. Molti paracadutati ("paraculati") sono finiti senza reale esperienza o capacità in gangli vitali e la conseguenza è la decadenza del Servizio pubblico radiotelevisivo e lo dico con rispetto per il fior di professionisti che ci sono e tengono in piedi l'azienda. Ho visto purtroppo l'accantonamento di molte persone valide sorpassate dagli "amici degli amici". Una situazione avvilente e forse irreversibile, anche perché nel frattempo i cambiamenti tecnologici e l'evoluzione dei gusti del pubblico stanno colpendo al cuore la televisione generalista ed i vecchi canali radiofonici "Rai" sorpassati dal dinamismo dei privati. Mi viene in mente cosa disse una volta della "Rai" il mio amico Enrico Mentana, ragazzo come me in quegli anni verdi: «C'è di tutto: mantenute, raccomandati, epurati, miracolati. E' come l'annuario del "Censis": ci si possono leggere tutti i fenomeni sociali. Alcuni da baraccone». Per questo sghignazzo di fronte alla scoperta che in "Rai" i partiti si occupano delle nomine importanti, specie se lo scandalo viene evocato dai "grillini". Chi ha avuto successo elettorale criticando la vecchia politica, si è seduto al tavolo con grande appetito in analogia con altri che volevano cambiare il sistema e perciò ho visto carriere lampo davvero straordinarie dal mio angoletto in "Rai" in cui ho vissuto facendo il mio lavoro ed assistendo alla lenta e triste decadenza di un mondo che avevo cominciato a vivere nell'epoca d'oro del monopolio. Quando entrai in "Rai" seguivo con curiosità da neofita certi discorsi sul futuro della "Rai" con l'avvento dei privati al tempo della liberalizzazione dell'etere. I vecchi dell'azienda si sentivano intoccabili e sicuri che la "Rai" avrebbe schiacciato la concorrenza in arrivo. Una sicumera finita male e continua la storia di ritardi letali di fronte ad un settore radiotelevisivo che muta radicalmente in assenza dì strategie del corpaccione aziendale. Quell'apparato romanocentrico ed autoreferenziale che non ha mai capito che bisognava avere un dualismo con Milano, che desse al Nord un ruolo maggiore e lo stesso doveva valere per gli altri Centri di produzione e le Sedi locali, come quella valdostana. La Sede valdostana potrebbe essere una sede pilota ed avrebbe le risorse umane per farlo e la società valdostana potrebbe essere ben più coinvolta. Ma la mancanza di investimenti e di una missione certa delle strutture regionali rende tutto difficile e piano piano il Servizio pubblico radiotelevisivo rischia di perdere quel ruolo chiave che potrebbe avere a beneficio delle comunità locali poco presidiate dai privati. La radiofonia locale neppure adopera i canali "Dab" e mantiene spazi di trasmissione vecchi come il cucco. La televisione vive di difficoltà tecniche evidenti, senza neppure mezzi mobili degni di questo nome. Un pulmino di ripresa esisteva quarant'anni fa. Non c'è nessun rapporto con le Autorità regionali da parte di chi dovrebbe farlo come ruolo istituzionale. Una vera tristezza, di cui sfuggono le ragioni, frutto evidente della situazione aziendale che considera poco le Regioni, perché conta il potere centrale. Riuscirà la nuova governance scelta da Draghi a cambiare marcia o il destino nefasto per la "Rai" è ormai inevitabile? Mi spiacerebbe molto che ciò accadesse, avendo sempre coltivato un sano attaccamento a questa azienda, non sempre ricambiato.