Chi gioca con Viktor Orbán, come fa la coppia antagonista di separati in casa Meloni-Salvini, dovrebbe farsi qualche domanda sui comportamenti del leader ungherese e riflettere sul fatto che giocare con il fuoco non è consigliabile. Difficile vestire panni moderati in casa e poi firmare documenti e frequentare personaggi sulfurei. Basta informarsi per vedere come le sue attitudini liberticide esistano davvero e se il termine "dittatore" bisogna utilizzarlo sempre con prudenza, almeno la definizione di "autocrate" (chi esercita un potere assoluto) gli calza a pennello. Il paradosso è che da fautore delle libertà civili è diventato l'animaccia nera dell'Europa. Chi si allea con lui, protagonista di un nazionalismo retrivo e di un'Europa degli Stati-Nazione contro l'integrazione europea, non bestemmi il nome del Federalismo invano. Lo stesso si capisce leggendo la recentissima "Carta dei valori della destra europea", che mostra i muscoli contro disegni comunitari accresciuti come se fosse chissà quale millenaristica maledizione.
Raccontava, anni fa, Mattia Feltri su "La Stampa" del camaleonte magiaro: «Il mistero di Viktor Orbán è fra i più affascinanti della storia contemporanea. Quando vennero giù Muro di Berlino e Cortina di ferro, nell'89, era un ventiseienne capellone e libertario, studiava e faceva politica finanziato da George Soros, intratteneva rapporti coi Radicali di Marco Pannella che lo consideravano un alleato nell'Ungheria democratica e liberale. Oggi è tutt'altro, reputa Soros il demonio del complotto giudaico massonico di sostituzione etnica e religiosa, è il leader dell'Ungheria bianca e cattolica, fondatore della "democrazia illiberale" contro il liberalismo per cui i confini non esistono più, gli uomini si spostano, ibridano fedi e tradizioni (e la democrazia illiberale si è poi declinata in un controllo severo su stampa, magistratura e opposizioni). Lui, giovane nemico del comunismo, sognatore dell'Occidente libero, ricco, consumista, si è infine ricacciato indietro, e paragona l'Unione europea all'Unione Sovietica, una nuova dittatura contro cui battersi». In poche righe la descrizione di una deriva personale forse sincera o forse furbesca, cambiando nemici a seconda dei momenti, tipo dai migranti ai gay. Comunque sia, l'ultimo rapporto di "Amnesty International" merita di essere letto e bastano le prime righe per capire l'attitudine: "Il governo ha continuato a dover affrontare resistenze interne al Paese e il vaglio della comunità internazionale per la sua progressiva regressione nel rispetto dei diritti umani e per l'inosservanza delle leggi comunitarie". Per cui - ripeto - chi intrattiene rapporti politici e di amicizia dovrebbe diffidare e noi di chi lo frequenta senza rendersi conto della complicità di cui diventa protagonista. Personalmente credo che certe derive antidemocratiche siano da condannare da parte del resto dell'Unione europea, che si è sempre mostrata - anche con il portafoglio in mano - assai comprensiva e generosa con i Paesi dell'allargamento dell'Est Europa che diventarono europei nel 2004 e che in alcuni casi stanno sbarellando. Resto convinto che quella scelta fosse giusta per riportare in seno all'Occidente dei Paesi vittime del comunismo sovietico, privati di libertà elementari, ma proprio il ricordo di quelle esperienze si sarebbe dovuto dimostrare come un antidoto contro politici con atteggiamenti antidemocratici. Invece in molti Paesi un tempo "oltrecortina" si manifesta un antieuropeismo irragionevole e pure ingeneroso verso chi, dopo la caduta del muro di Berlino, li aiutò a ritrovare la strada di casa verso l'Europa politica, contro le ancora evidenti mire espansionistiche della Russia di Putin. Anche lui, incredibilmente, considerato «amico» da certi sovranisti di casa nostra.