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11 lug 2021

La fratellanza

di Luciano Caveri

Ci sono talvolta dichiarazioni che non si sono mai fatte a tempo debito e questo deriva da forme di pudore, di quelle cose dette e non dette. Ma ogni tanto è bello farlo, essendo tra l'altra cresciuto in una famiglia che, pur affettuosa, non ha mai avuto troppi slanci sentimentali. Questi li ho piano piano appresi nella mia vita. Anche se ha ragione Gustave Flaubert quando scriveva nel suo "L'educazione sentimentale": «Gli affetti profondi somigliano alle donne oneste; hanno paura di essere scoperti, e passano nella vita con gli occhi bassi». In questi giorni c'è stato il compleanno di mio fratello Alberto, più grande di me di cinque anni. Lo festeggeremo alla "Spiaggia d'Oro" di Imperia, dove assieme abbiamo passato le estati più belle della nostra vita con la famiglia e con le compagnie che ci hanno fatto crescere. Ci sono luoghi geografici che evocano in un secondo una marea di ricordi e esiste un'evidente dolcezza nel rievocarli con vecchi amici.

Ha scritto Banana Yoshimoto: «La nostra vita appartiene soltanto a noi, e i ricordi... quelli non possiamo cederli a nessuno. Accumulatene, che siano soltanto vostri, e straordinari, grandi, tanti, irripetibili, di quelli che lasciano a bocca aperta, e che fanno entrare nella tomba con il sorriso sulle labbra!». L'ultima frase merita uno scongiuro, tuttavia è realistico. Trovo che la "fratellanza" sia un sentimento importante e userei per sottolinearne la profonda umanità l'antica parola "pathos". Chi mi legge da tempo sa bene quanto mi piaccia questa parola, resa nota nella parte buona della Rivoluzione francese: "fraternité"! Yannick Bosc dell'Università di Rouen spiega che questa "Fraternité" spunta come "formule de politesse" con la dizione «salut et fraternité», ma poi si afferma e già nel 1790 nella triade "Liberté, Egalité, Fraternité". A me questa "fratellanza" piace molto e non è solo un termine laico, essendo ben presente nella cristianità, come cemento che dovrebbe accomunare i fedeli, fratelli nel loro afflato religioso e comunitario. Era di certo un collante in epoca medioevale fra i cavalieri, nella logica di un giuramento di fedeltà e di aiuto reciproco e in fondo esiste un qualche appiglio anche nella sua riproposizione - quale valore etico fondante una società "nuova" - accanto a "libertà" ed "eguaglianza" in epoca rivoluzionaria, per poi tornare - in una logica di solidarietà di classe - attraverso lo sviluppo del marxismo. Allora, rivenendo all'inizio, quel che è bello nella mia "fratellanza" è che il rapporto con mio fratello Alberto è sempre stato cementato dalla solidarietà. Per questo - e non l'ho mai fatto pubblicamente - lo ringrazio e lo abbraccio. Lo faccio senza smancerie, come mai abbiamo fatto fra di noi, distanti come siamo dalle logiche della televisione piagnona tipo "C'è posta per te". Però è vero che "verba volant, scripta manent" ("le parole volano, gli scritti rimangono"). L'antico proverbio ha origine da un discorso di Caio Tito fatto al senato romano. Oggi lo usiamo, contestualizzandolo, per dire come sia prudente scrivere per sancire un accordo, poiché le parole sfuggono e facilmente possono mutare (anche se le registrazioni ormai le "congelano"), mentre uno scritto ha un valore incontrovertibile. Per questo ho scritto.