Goffi, siamo goffi. Lo pensavo di me stesso, che ieri ho preso, dopo tanti mesi che ciò non avveniva, un aereo. Pensare che ho passato una larga parte della mia vita ad andare avanti indietro tra aeroporti e voli come se dovessi prendere un taxi. Ieri a Linate ero invece circospetto e dubbioso, come un novellino. Questo modo di essere zoppicanti, di cui propongo un esempio banale, trovo sia un segno dei tempi, perché siamo intorpiditi nel ritrovare pian piano gli spazi più larghi in cui prima vivevamo. Ci ritroviamo come arrugginiti e tocca scuotersi, obbligatoriamente. "Mastro Ciliegia" (Maurizio Crippa) su "Il Foglio" fa molto sorridere con la sua rubrica. Sono flash nel buio anche rispetto alla situazione cupa in cui siamo.
Parte dai famosi balconi su cui si è ricamata una vasta retorica patriottarda: «Non ve li ricordate già più i balconi, eh? No, certo, perché fanno vergognare. Non avevamo fatto in tempo, un anno e passa fa, a commuoverci una sola sera con quelli che cantavano dai balconi che il giorno dopo era già diventata una moda stracciarola e sguaiata, una rincorsa a chi amplificava di più, a chi stonava meglio. "Andrà tutto bene" fu la condanna amorale, antiestetica, delle nostre finestre». Questo famoso "andrà tutto bene" ha oggettivamente sfidato il buonsenso e, per chi ci crede, ha pure portato sfortuna. Questo canto sui balconi, le bandiere e le scritte, frutto dell'idea che la parentesi negativa sarebbe stata come un fulmine si è invece trasformata in una cinquanta chilometri di fondo con lo sconcerto di neppure capire il necessario "voi siete qui". Ogni tanto si ha l'idea di essere in un "Gioco dell'oca", caduti nella casellina sbagliata, che fa ripartire da capo. Ma appaiono poi delle novità, come la micragnosa scelta di poter mangiare solo all'aperto nei ristoranti, che piace molto a noi montanari, che già ci vediamo sfidare gli sbalzi di temperatura in quota, invidiando chi abita in zone climatiche più favorevoli. L'eguaglianza sarebbe avere regole diverse per situazioni differenti e non norme "livella", che risultino alla fine sperequative. Osserva Mastro Ciliegia con arguzia che colpisce comportamenti personali e collettivi non ancora avviatisi in una Valle d'Aosta purtroppo arancione: «Adesso tocca ai tavolini e ai "dehors", la nuova parola forestiera che anche le casalinghe di Voghera hanno imparato. Primo giorno di nouveau régime e tutta l'Italia è fuori, come le chiappe chiare, a magnare al tavolino. Come se davvero non ne potesse più. Come il 25 aprile del gargarozzo. Non è libertà, è incontinenza, e peggio se ammantata di post presunto-intelligenti sui social. Un popolo di draghi. E le foto, le foto a riempire i giornali. I tavolini appiccicati a Campo de' Fiori, l'arte d'arrangiarsi a Napoli (per quella, una foto non manca mai) e le tovaglie con la molletta sotto i portici di Bologna. I torinesi, che non si divertono nemmeno quando si divertono, per onor di tigna sono andati a mangiare fuori anche se pioveva. E tutti a darsi idealmente di gomito: hai visto che paese di resilienti che siamo? Una poveracciata, siamo. Una caricatura neorealista. State composti, che è ancora lunga». Compostissimi ma anche stufi, pur consci che bisogna pazientare. Ogni tanto mi sento come un canarino in gabbia, che guarda oltre le sbarre e occhieggia verso la porticina d'ingresso, sperando che sia presto quella di uscita per volare via.