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03 mag 2021

Cautela sugli "anni ruggenti"

di Luciano Caveri

Le evocazioni del passato, usate per effettuare comparazioni storiche rispetto al presente, ci stanno sempre. Non è un male adoperare questo esercizio intellettuale, a condizione che ci siano cautela e attenzione. In Europa c'è chi evoca di questi tempi, in vista di una ripartenza dopo la pandemia, un parallelo con i «Ruggenti anni Venti» del Novecento, vale a dire quel decennio di un secolo fa successivo alla fine della Grande Guerra. Ad essere esatti la definizione riguarda all'origine gli Stati Uniti d'America, che conobbero una prosperità quanto mai formidabile in quel periodo. La loro economia crebbe a ritmi strepitosi nel solco di cambiamenti assai incisivi e persino sorprendenti. Erano perciò definiti per l'operosità generale che si viveva «gli anni dell'euforia», appunto i «Roaring Twenties».

Ma la stessa espressione esiste anche in francese e in tedesco: «Les Années Folles!» e «Goldene Zwanziger!». Tutto ciò per dare il senso - in chi ne esaltò e ne esalta gli esiti - di uno sviluppo economico, politico, sociale e culturale senza troppo eguali per la rapidità del susseguirsi degli eventi. Emergono infatti cambiamenti, sperimentazione, prosperità, libertà, pace, musica e nuove tecnologie. Il capolinea, a dimostrazione di come certi entusiasmi vadano annacquati, fu il 24 ottobre 1929, quando si verificò una delle più gravi crisi economiche della storia, dovuta al crollo della Borsa di Wall Street. Il cosiddetto "Giovedì nero" fu il giorno in cui il mercato collassò e si palesò agli occhi di tutti il fenomeno della "bolla speculativa", nome comune al giorno d'oggi, causa del tracollo finanziario, la cui ondata si riversò nel mondo intero. Ma se, nel caso italiano, tornassimo indietro dal 2021 al 1921 lo scenario sarebbe meno sfavillante di quanto avvenne altrove, perché la crisi dell'Italia liberale, in un clima caotico post bellico dal punto di vista sociale, vede, dopo il famoso biennio rosso, l'emergere del fascismo lanciato sulla dirittura d'arrivo del suo successo. Intanto l'economia andava male con la Lira in picchiata ed un complessivo peggioramento delle condizioni di vita, specie della parte più povera della popolazione. Questo per dire, in una sintesi sommaria, che di "ruggente" c'era poco e dunque nel caso dell'Italia ogni nostalgia di quella energia sviluppatasi altrove va presa con le pinze. Questo vuol dire che è bene immaginare che da qui in poi vada perseguito un momento di effervescenza, a condizione che si abbia semmai come punto di riferimento, fatte salve le differenze, il secondo dopoguerra, che in Italia vale di più. So bene che ogni riferimento storico appare scivoloso ed improprio, ma se dovessimo basarci sul ritorno alla normalità, ad un clima di speranza e di fiducia, al tirarsi su da un periodo difficile e luttuoso, allora non tutto è da considerarsi come distante nella possibile comparazione con i decenni dopo il 1945. Niente di "ruggente", semmai circostanze piene di impegno e di entusiasmo per rialzarsi, come ce lo hanno raccontato i genitori di noi figli degli anni Cinquanta e Sessanta, che ne siamo stati coprotagonisti nel piccolo della nostra infanzia.