La goccia che ha fatto traboccare il vaso. La decisione di ieri del peggior ministro del Governo "Conte bis", Roberto Speranza, miracolato da Mario Draghi, di bloccare la riapertura degli impianti fa arrabbiare anche il più serafico. Ma è il segno dei tempi, quelli di una sorta di dittatura sanitaria priva di scrupoli nel nome della nostra salute, nascondendosi dietro il dramma purtroppo reale e certamente da combattere della pandemia. Ma a spiegare la rabbia basta l'ultima dichiarazione di Speranza, che spiega la scelta proditoria con un ardito parallelo fra lo sci e le discoteche! Un esempio preclaro di stupidità da parte di un ministro incapace, purtroppo confermato da Draghi, grazie al pugno di voti del suo partitino di estrema sinistra, che per altro si è pure diviso sulla fiducia al nuovo Governo. Guarda caso viene dalla stessa area politica che in larga parte aborrisce impianti a fune e sci alpino nel nome di un ambientalismo sbilenco.
Se riavvolgiamo il nastro, scopriamo come questa storia sia durata per tutta la stagione. Nasce in autunno, dopo il "liberi tutti" estivo di cui Speranza è stato coautore. Quando le spiagge debordavano, il silenzio delle autorità preposte è stato imbarazzante e, autentico paradosso, la severità successiva si è sfogata contro la montagna ed in particolare contro le Alpi. Una cecità di fronte ad un'economia montana che ha nel turismo dello sci un caposaldo, che si è sgretolato con divieti continui, oltretutto - come stavolta - in spregio a principi elementari di democrazia. Ogni richiesta dei territori di montagna è stata respinta ed anzi è stato sistematicamente violato quel principio costituzionale della leale cooperazione fra Stato e Regioni con decisioni romane unilaterali e quasi sempre comunicate agli interessati all'ultimo secondo. Così con gli impianti a fune. Dopo lo sblocco dell'attività di quel mostro giuridico senza appello che è il "Cts - Comitato tecnico scientifico", compagnia di giro che campa ormai in televisione annunciando scenari da catastrofe e decisioni terribili lo sci si è stato fermato poche ore prima dalla ripartenza. Da noi la ripartenza era stata fissata per il 18 febbraio, mentre nel vicino Piemonte e in Lombardia le piste sarebbero state riaperte già oggi con "giornalieri" già venduti e tutta la macchina organizzativa perfettamente oliata. Anche da noi tutto era già pronto un un clima di rinnovata "speranza" (parolaccia, pensando al cognome del ministro!), uccisa in culla dal dietrofront arrivato da Roma. La decisione era già trapelata, ma ritenuta inverosimile, per via di tale Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute, quando aveva già gelato tutti prima del suo ministro, annunciando che il già citato "Cts" si era rimangiando tutto, esprimendosi in modo concorde sul «no» alla riapertura degli impianti delle stazioni sciistiche. Annuncio rivelatosi purtroppo veritiero. Per la cronaca Ricciardi solo un anno fa sosteneva che il "covid-19", benché da prendere sul serio come tutti i virus respiratori, era meno letale della pandemia influenzale. Un anno dopo pontifica... Ora si annuncia che gli impianti potrebbero ottenere il via libera il 5 marzo, cioè un mese prima delle vacanze pasquali. Inutile dire che un periodo di apertura di questo genere sarebbe ridicolo a chiusura della stagione sciistica. Così come non basta la reazione delle forze politiche del nuovo Governo che annunciano, per tappare il buco e la figura di l'alta, ristori generosissimi per la montagna. Ovvio che questi soldi ci vogliano per evitare fallimenti a raffica, ma questo non muta il giudizio su azioni politiche gravi, svolte oltretutto nel passaggio pieno di aspettative da un Governo all'altro. Che si usi la politica della concertazione fra diversi livelli di governo, che si guardi alla Montagna con attenzione e rispetto, che si tenga conto che non si può guardare ai territori con regole romane senza alcuna flessibilità, che si capisca la disperazione di chi non ha lavoro e vede le sue attività andare verso il baratro.