Sappiamo bene come purtroppo in Valle d'Aosta il tasso dei suicidi sia un triste record. Un fenomeno che, visto che siamo una piccola comunità, è fatto di persone conosciute e di storie note: volti non numeri. Una volta, quando il diritto canonico puniva questo gesto ed una sorta di velo copriva eventi così tristi, se ne parlava poco. Succedeva di farlo solo di fronte a persone famose. Ricordo che ero deputato nel 1993, quando si uccise gettandosi nel vuoto Émile Chanoux figlio. Il caso ebbe persino troppo clamore a causa di chi volle cercare attorno al gesto chissà quale mistero. Ma lo stillicidio di suicidi non si è mai fermato ed ha colpito persone di tutte le età. E, quando colpisce, si resta sempre interdetti e, se si conoscono i familiari come talvolta mi è capitato e anche di recente, non si mai cosa dire per lenire certi dolori. Specie quando si tratta di ragazzi e per i loro genitori questo peso diventa un'immane tragedia ed un terribile rovello sui perché.
Penso a quella mattina in cui una mamma mi avvicinò mentre correvo sul bordo della strada nel paese dove vivo, e mi chiese se avessi visto suo figlio, che a quell'ora si era già gettato da un punto a pochi metri da lì, alla fine di un percorso in questa morte cercata che era diventata un'ossessione. Giorni fa, un'altra mamma in questa situazione con una ferita aperta e lacerante mi ha parlato di una sua idea, in verità messa in pratica in molti posti nel mondo. Mettere delle reti di protezione in tre ponti della Valle d'Aosta diventati noti perché scelti spesso da chi ha voluto togliersi la vita: Introd, Avise e Châtillon. Confesso che quand'ero presidente della Regione pensai ad una cosa del genere proprio ad Introd, quando ci fu un periodo in cui, chissà con quale logica imitativa, ci furono una raffica di suicidi proprio in quel luogo, che divenne per i cronisti «il ponte dei suicidi» con una lugubre etichetta. Poi non ne parlammo più. Se ricordo bene - ma è quanto ho detto alla mamma incontrata giorni fa - ragionammo sul fatto che se non fosse stato lì sarebbe stato altrove, e poi in Valle d'Aosta ci sono almeno due altre modalità: gettarsi in un canale (dove in verità reti protettive ne sono state messe, ma mai a sufficienza) o l'impiccagione, che nel mondo contadino aveva quasi una valenza rituale. Ora, non so se questa storia delle reti possa avere un senso e magari può essere valida - così mi è stato spiegato - per chi possa avere un raptus improvviso. In effetti ad Introd in tanti hanno lasciato la macchina sul ponte ed hanno scavalcato come se la scelta fosse avvenuta di istinto, ma quel che bisogna affrontare è la nascita di un'altra Rete ed uso la maiuscola per distinguerla. La stessa signora che mi ha parlato mi ha lasciato una documentazione delle autorità svizzere, Paese anch'esso colpito dal fenomeno dei suicidi. E devo dire che quanto messo in piedi, appunto in rete, serve proprio per quanto ritengo davvero importante: capire per evitare. Si tratta di sistemi sanitari di allerta e di aiuto e naturalmente di cura che possano evitare il gesto estremo. Essenziale nel disegno la presenza di qualcuno che sappia scorgere i sintomi ed ascoltarne le ragioni, specie nei momenti acuti di solitudine e disperazione. Bisogna di certo lavorarci di più.