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07 feb 2021

Sanremo

di Luciano Caveri

Per svagarmi rispetto alla crisi governativa seguo con rilassante curiosità l'evolversi delle vicende legate al "Festival di Sanremo". Lo faccio perché questo festival della musica è stato presente nella vita di chiunque e solo rari snob possono far finta di disinteressarsene. Anche se quella sigla iniziale dell'Eurovisione che campeggiava in certi anni era una bufala per darsi delle arie, perché Sanremo è davvero una storia tutta italiana, profondamente provinciale e non è detto che questo sia un difetto, anzi! Da quando sono bambino, assieme al gemello "Disco per l'Estate" di Saint-Vincent purtroppo a scomparso, Sanremo scandiva la nostra colonna sonora, almeno sino all'adolescenza. Poi i gusti musicali e le relative orecchie da allora si sono spinti verso diversi orizzonti ma Sanremo non è niente affatto evaporato.

Ricordo serate memorabili in cui mettevamo da parte, assieme agli amici del momento, i nostri dischi, le audiocassette, le radio alternative e passavamo serate memorabili a cazzeggiare, commentando canzoni e cantanti con gusto del kitsch e irriverenza d'ordinanza. Poi capitava, però, essendo ormai il reato caduto in prescrizione lo posso beatamente confessare, che qualche motivo restasse in testa e ti capitasse pure di canticchiarlo. Certo nulla a che fare con la full immersion del periodo delle gite scolastiche in pullman quando, con apposito libricino comperato nella cartolibreria del paese, intonavamo in coro i successi sanremesi, ma in quel caso eravamo bambini, anime candide e perciò perdonabili. Ora si discute di Sanremo nella pandemia e ci si chiede che edizione sarà con Amadeus, attuale patron (per sua fortuna con l'appeal di Fiorello!) che voleva avere pubblico al Teatro "Ariston", anche al limite con figuranti tamponati. Ed invece le autorità sanitarie hanno negato la possibilità ed il presentatore annunciato ma non dato le dimissioni, nella più classica sceneggiata all'italiana. Sono stato all'Ariston ed è un vecchio cinema di paese, che solo gli effetti speciali trasformano in un palco rutilante. Non si presta affatto a spettacoli siffatti, ma tradizione e pigrizia hanno impedito le necessarie trasformazioni mai avvenute. Ora se ne pagano le conseguenze, anche se poi tutto si aggiusterà nella logica di polemiche inutili che accendono il faro sulla manifestazione. Anche se questa volta non penso che sia solo una sceneggiata pretestuosa. Ha scritto il ruvido Aldo Grasso: «Sanremo è una festa popolare, la sconfitta delle élite culturali, delle minoranze autocompiaciute, di quelli che soffrono di mal di metafora, almeno da quando Ennio Flaiano, posando il suo sguardo sul Festival, ebbe a dire: "Non ho mai visto niente di più anchilosato, rabberciato, futile, vanitoso, lercio e interessato"». Eppure gli ascolti tengono fra gente che ha gusto dell'orrido e chi sghignazza vedendo il medesimo spettacolo. In fondo Luigi Tenco non ci prese, quando si suicidò - certo per ragioni sue - dopo essere stato sul palco del Festival, lasciando un biglietto che non di un epitaffio della manifestazione: «Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt'altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda "Io tu e le rose" in finale e ad una commissione che seleziona "La rivoluzione". Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno». "La rivoluzione" era un'agghiacciante canzone cantata da Gianni Pettenati con lo zampino di Mogol e la trovate sul Web per giudicare perché deprimesse Tenco. Invece, oltre cinquant'anni dopo, Orietta Berti, la cantante di "Io tu e le rose", sarà all'Ariston. Come dire che ha vinto lei...