Io sono un praticone di quelle che un tempo si chiamavano "le nuove tecnologie" dal "Commodore" in poi, dal telefonino in su, dall'avvento di Internet verso nuovi orizzonti. Un percorso non facile per chi è uno che ricorda le signorine della "Stipel" che passavano le telefonate, le cabine telefoniche coi gettoni, i telefoni domestici partendo da quelli in bachelite, il primo "Navigator" della "Nokia", l'ingresso nel mondo avvolgente della "Apple". Guardo, sostanzialmente da autodidatta che si rifiuta di perdere il treno delle novità, con invidia l'agevolezza del figlio più piccolo decenne anche rispetto ai suoi fratelli ventenni, che si sono trovati a cavallo fra i neofiti come me ed il nativo digitale che è Alexis, la cui sveltezza è un dato acquisito di partenza.
Eppure con il più piccolo si pone il problema assai serio di come porsi rispetto ad una sua domanda di avere gli apparati. Già lo si è dotato per la scuola di un vecchio computer, usa sotto controllo un tablet a casa, mentre vorrebbe - come già avviene per un piccolo numero dei suoi compagni di classe di quinta elementare - avere un suo telefonino. Leggevo a questo proposito quanto scritto da Alberto Pellai, psicoterapeuta dell'età evolutiva, sul "Corriere della Sera", pensando anche ai tragici fatti di cronaca legati alla morte di ragazzi legati ad emulazioni di prove pericolose su "TikTok". Così Pellai: «Negli ultimi anni noi genitori abbiamo permesso ai nostri figli di avere in mano uno smartphone personale sempre prima. Gli smartphone abbattono la percezione del tempo e allontanano dal principio di realtà, due aspetti che in età evolutiva rappresentano fondamentali obiettivi educativi. Nell'online infatti si perde così tanto tempo che i genitori oggi sono sempre più preoccupati che la passione per social network e videogiochi dei loro figli li allontani e demotivi nei confronti di studio, amicizia e sport. Il virtuale è diventato una sorta di "paese dei balocchi" di collodiana memoria: ci entri dentro e ti dimentichi tutto il resto. In effetti, il cervello dei più piccoli non possiede le competenze per resistere all'attrattività eccitatoria e pulsionale di un mondo virtuale che ti tiene agganciato con milioni di proposte dove puoi divertirti, sperimentare sensazioni intense e potenti, sentirti grande e importante, ricevere gratificazione immediata. Mentre gli adulti, nella vita reale, ti propongono di studiare, frequentare sport e oratorio, giocare a palla o a Monopoli, il web ti permette di vedere pornografia e di esibirti su un red carpet virtuale che è sempre lì che ti aspetta. Tra l'altro noi genitori del terzo millennio abbiamo sviluppato un'ansia iperprotettiva per cui vietiamo ad un preadolescente di andare da solo da casa a scuola oppure di fare un giro in bicicletta nel suo quartiere, attività che ipotizziamo troppo pericolose. Scortiamo i figli dappertutto, così loro vedono sempre più ridotti il loro potere d'azione e la percezione della propria autoefficacia. In un videogioco o in un social invece possono fare tutto: diventare supereroi e dotarsi di un potere seduttivo che li fa sentire unici e speciali, competenti e potenti». Questo per così dire, è lo scenario ordinario, ma ora non siamo nella normalità, come segnala l'autore dell'articolo: «L'emergenza covid ha ulteriormente complicato la situazione. Anche per questo oggi ci confrontiamo con tragici fatti di cronaca che hanno per protagonisti bambini che facendo nel virtuale cose da grandi - senza capirne il significato, le implicazioni, i limiti necessari - si sono fatti così male, da non uscirne vivi. Le neuroscienze ci dicono che l'età più vulnerabile nei confronti dei rischi online è la preadolescenza. Noi genitori inconsapevolmente abbiamo mandato i nostri figli in trincea e, senza accorgercene, ogni giorno subiscono l'attacco di un nemico invisibile che si presenta a loro come un amico straordinario. Del resto anche Pinocchio non si era reso conto che Lucignolo, portandolo nel paese dei balocchi, lo avrebbe messo in grave pericolo. Lo smartphone prima dei tredici anni rappresenta un rischio estremo per ogni minore. Lo sanno anche gli esperti della Silicon valley che in ogni intervista ribadiscono che ai loro figli lo mettono in mano solo al termine della preadolescenza. Noi genitori dobbiamo avere il coraggio di guardare le tecnologie per quello che sono: un'opportunità da cogliere al momento giusto. L'infanzia non è un tempo di "tutto troppo presto". Non puoi accelerarla. Devi rispettarla». Serie ragioni di riflessione.